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Controcopertina - Mario Tozzi: Un sentenza storica e il valore dei parchi

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : domenica, 10 agosto 2008

Abbiamo ricordato quale sia la realtà dei parchi nazionali e delle aree protette d’Italia, una realtà lontanissima da quella che immagina chi non li conosce e suppone aree di clientelismo, inefficienza e, addirittura, poltronifici. Abbiamo anche ricordato quali siano i vantaggi economici e in termini di qualità della vita che i parchi portano con sé. Spesso si tratta di veri e propri modelli di efficienza e motori di sviluppo, ma --sempre-- i parchi nazionali conservano un patrimonio inestimabile della nazione, quello della ricchezza e diversità della vita, con tutti i servizi gratuiti cui nemmeno facciamo caso, dall’acqua all'aria, al cibo o alla protezione da eventi catastrofici: se c’è, per esempio, un argine alla desertificazione, questo lo si deve alle riserve naturali che conservano foresta e zone umide. Un parco migliora la qualità delle esistenze degli uomini e, spesso, reca il valore aggiunto di uno sviluppo economico qualitativo e basato su pratiche eco-sostenibili. Ma questo dovrebbe essere chiaro, forse è ora di soffermarci un momento su cosa potrebbe significare, invece, una privatizzazione delle aree protette, come da qualcuno auspicato. Anche in questo caso si parla senza troppa cognizione di causa. Tutti coloro che hanno a che fare con le aree protette colgono fino in fondo l’urgenza di ripensare ciò che non funziona nelle modalità di gestione, ma le idee che si vedono in giro rischiano costantemente di gettare via il bambino insieme con l’acqua sporca, oppure sono già state messe in pratica. Per esempio, sono molti gli enti parco che già hanno dotato “di servizi, piccole strutture ricettive e di ristorazione” (come suggerisce il Ministro Prestigiacomo in un articolo su La Stampa) le aree protette e, laddove non lo hanno fatto gli enti locali, ci hanno pensato i privati, esattamente come indica il Ministro. E già ora molti parchi si appoggiano a sponsorship private per singole iniziative e eventi o per restauri del proprio patrimonio. Ma una privatizzazione degli enti parco è impensabile perché significherebbe condannare tutti quei valori di cui i parchi sono strenui difensori a diventare solo prezzi, cioè rischiare la mercificazione dell’ambiente, di cui non abbiamo il benché minimo bisogno. Immaginiamo un parco privatizzato che, per cattiva sorte o problemi esterni (per esempio, una frana naturale nella sua area marina protetta che, perciò, dovrà essere chiusa), non riesca a essere fonte di reddito: che cosa si fa, lo si chiude perché non genera profitto ? Siccome i parchi sono stati istituiti su basi scientifiche, cioè tutelano valori naturalistici oggettivamente riscontrabili, come possono venire di colpo meno le condizioni per la loro esistenza solo perché mancano i guadagni? Proviamo a usare lo stesso ragionamento per un museo o un monumento: il Colosseo, eventualmente privatizzato, sarebbe trasformato in albergo, se non dovesse garantire profitto ai concessionari? Quando si alienano i gioielli di famiglia, sia naturalistici che artistici, vuol dire che si è in condizioni disastrose e non ci si può considerare la sesta potenza industriale del pianeta. Certo i parchi, nelle condizioni attuali, rischiano il futuro gramo cui fa giustamente cenno il Ministro, ma è proprio per questo che va riproposto con forza l’incremento di dotazioni e strutture a loro vantaggio, non tagli e ridimensionamenti. Non si tratta di “poltronifici” (il presidente guadagna 1500 euro al mese, i membri dei consigli direttivi arrivano a 80 euro mensili di indennità e 60 euro a seduta!), ma delle indispensabili basi di partenza per un futuro sostenibile che, alla lunga, ripara almeno quelle regioni dai venti di crisi. Infine una sentenza che si potrebbe definire storica: il WWF ha vinto il ricorso al Tar del Veneto contro la realizzazione della struttura alberghiera del “Park Hotel”, situata in un’area dall’alto valore ambientale e paesaggistico a Bibione. Il giudice amministrativo ha stabilito che lo strumento urbanistico può e deve tutelare anche il bene ambiente ed il paesaggio e che un’associazione ambientalista è legittimata a ricorrere anche per provvedimenti riguardanti la materia urbanistico – edilizia, per contrastare gli interventi lesivi dei beni ambientali nella loro integralità. Come a dire che, laddove le autorità amministrative non siano in grado di tutelare il bene ambientale, un’associazione ambientalista diventa il custode dei beni pubblici e delle risorse naturali, anche sostituendosi alle autorità pubbliche nella tutela di un patrimonio comune e tutelato anche dalla Costituzione. Un pro-memoria per gli amministratori distratti …


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