La fantasia finalmente al potere. Nel decreto Marzano sul Riordino del settore energetico che domani torna alla Camera, persino la combustione rifiuti diventa una fonte di energia pulita. Art. 23 comma 7: "Al fine del raggiungimento della quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili [...] sono ammessi a beneficiare del regime giuridico riservato alle fonti rinnovabili i rifiuti". "Si servono della spada di Damocle del black-out - spiega Ermete Realacci, presidente di Legambiente - ma il documento, elaborato prima del blocco delle utenze, è rimasto inalterato: segno che quel problema non ha mosso nessuna riflessione. Né il caldo e la siccità di questi giorni, frutto evidente del surriscaldamento globale, è servito a orientare il decreto verso un rispetto reale del protocollo di Kyoto. Questa nuova invenzione ha però le ore contate. La normativa europea è chiara al riguardo: solo le biomasse sono assimilabili alle rinnovabili, e non certo i rifiuti nel loro complesso. Andiamo incontro ad un ennesimo scontro con l'Unione. C'è poi la questione della cogenerazione, anch'essa inclusa dal decreto Marzano fra le fonti rinnovabili (mentre la direttiva 2001/77/EC la considera tale solo in casi particolari), e quella del nucleare all'estero, che scavalca la volontà dei cittadini italiani di chiudere con l'energia dell'atomo. "Si tratta di un provvedimento che - spiega Francesco Ferrante, direttore generale dell'associazione ambientalista - se approvato così com'è, avrà un effetto dirompente. Il mercato dei certificati verdi e delle rinnovabili andrà gambe all'aria. Nessuna promozione di fonti energetiche pulite sarà più possibile dal momento in cui anche l'incenerimento dei rifiuti venisse considerato tale. Assisteremmo nei prossimi anni ad un'impennata formale della produzione di energia 'pulita', ma solo burocraticamente, mentre nei fatti le fonti veramente sostenibili, come l'eolico o il solare, sarebbero schiacciate dagli inceneritori, con tanti saluti all'ambiente e alla salute dei cittadini." "Questo decreto, insomma - conclude Realacci - compromette la possibilità per l'Italia di affrancarsi dal petrolio, di imboccare e non solo sulla carta la via di Kyoto e di veder crescere tecnologicamente le proprie industrie nel pieno rispetto dell'ambiente."