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Graziani: Riflessioni sulle vicende giudiziarie

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : venerdì, 11 luglio 2008

“Vi sono periodi importanti di cui sappiamo poco, situazioni la cui importanza ci appare solo se ne esaminiamo le conseguenze. Il tempo che il seme trascorre sotto terra è parte integrante della vita della pianta” Iohann Wolfgang Goethe La notizia dell’assoluzione “perché il fatto non sussiste” di cittadini portoferraiesi appartenenti al mondo politico e imprenditoriale non può che essere occasione di compiacimento, tanto per le persone che per la città e per l’intera Isola: che amministratori del Capoluogo siano stati ritenuti estranei a una imputazione gravissima è cosa che riguarda tutti gli elbani, credo senza distinzioni di parte politica. Che questo sia avvenuto dopo quattro anni dalla formulazione dell’accusa è un fatto certamente grave (seppure non straordinario), poiché per un tempo lunghissimo sotto il profilo personale l’immagine, l’onorabilità, la dignità, la capacità di azione politica sono state annientate; e questo non può che essere di danno irreparabile anche per chi appartiene ad orientamenti politici diversi o avversi, in quanto la competizione politica deve trovare nel dibattito e nella dialettica politica lo spazio per esercitarsi e per manifestarsi ai cittadini. Ogni altra interferenza è sempre negativa. Che la persona più autorevole fra coloro che furono accusati non possa oggi provare l’orgoglio del riconoscimento delle proprie ragioni a suo tempo così strenuamente affermate è l’ultimo elemento rimasto drammatico e inesorabile. L’evento, anche per la contiguità con vicende note che mi riguardano direttamente, impone qualche riflessione che, in coerenza con quanto affermai nell’inaugurare questo blog, svolgo ora a sentenza pronunciata. Non per aprire io un processo alle intenzioni, alle responsabilità, alle possibili forzature: la sentenza è la giustizia, e nessuna discussione le può aggiungere o togliere nulla. Del resto se qualcuno avrà da sindacare, è possibile ricorrere a altri gradi di giudizio; ma processi fuori delle aule di tribunale non se ne dovrebbero mai fare. Comunque, al di là del caso portoferraiese o del mio, la riflessione sui modi dell’esercizio dell’attività giudiziaria è nel dibattito politico di questi giorni, e non è semplice orientarsi dentro il nugolo di contraddizioni che la sua complessità presenta. E ragionare a braccia, tanto per fare, è grave e pericoloso. Gli schieramenti schematici –garantisti, giustizialisti- sono solo fonte di confusione. Perché i reati sono sempre personali, e l’innocenza anche. Non si può essere innocentisti o colpevolisti in via di principio, fatto salvo quanto dice la Costituzione sulla presunzione di innocenza: ma se un cittadino, ad esempio, in forza del potere che in un certo momento gli è stato affidato opera per impedire che avvengano le pronunce dei tribunali nei tre gradi di giudizio previsti, non potrà mai invocare la presunzione di innocenza. Se per ottenere questo scopo è disposto a bloccare centomila processi impedendo a centomila cittadini di veder pronunciata una sentenza in tempi “ragionevoli”, allora lui e chi lo appoggia si rende davvero colpevole di una ingiustizia clamorosa che solo il clamore più forte delle fonti di informazione controllate può nascondere. Quattro anni è durato il processo di Portoferraio, e ci è sembrato troppo. Fermare una mole immensa di processi per un anno significa fermarli per sempre: e chi aveva le ragioni dell’innocenza non le vedrà riconosciute; e chi aveva le colpe si ritroverà innocente (e subito il pensiero corre ai reati ‘minori’ delle manovalanze delle mafie, che poi sono quelle che garantiscono i poteri locali e portano voti a quelli regionali, nazionali, ecc.). Dunque è necessario sempre distinguere. La vicenda oggi conclusa sollecita altre domande di carattere generale. Non si può non pensare alla spettacolarità dell’arresto di un Sindaco in carica, allo sbigottimento suo e della città: per il pericolo di fuga? Di fuga dove, considerata l’entità presumibile delle eventuali indebite appropriazioni?. Oppure per il pericolo di inquinamento delle prove? Dopo ottocento perquisizioni, sequestri, incursioni? Ma, è vero, il Magistrato non conosce a priori i termini dei fatti, e applica i provvedimenti “dovuti”. Eppure qualcuno deve aver sollecitato l’azione penale, deve aver fatto scattare la sua “obbligatorietà” con una denuncia, una informativa, una ricostruzione dei fatti, delle indagini. Certamente né il Pubblico Ministero né la Polizia giudiziaria avranno agito in malafede o, come è stato detto con la solita spiegazione semplificatrice, per ansia di visibilità, di protagonismo o di carriera (non so poi quanta se ne possa fare partendo dalla nostra Elba). Tuttavia se quelle indagini, quei sollecitati provvedimenti sono stati capovolti dal dibattimento e dalla sentenza, qualche errore di valutazione ci deve essere pur stato. E allora, proprio nello spirito della Costituzione, forse si dovrebbe davvero accogliere il suggerimento di discrezione che viene dal Capo dello Stato e dal Parlamento, e limitare al massimo la possibilità che le fonti di informazione di una società sempre più spettacolarizzata divengano preda delle tentazione delle locandine, dei titoloni, delle foto, delle rivelazioni magari poi destinate a essere corrette, smentite, ritrattate. La stampa ha il dovere, prima ancora che il diritto, di informare; e questo è massimamente vero riguardo a chi svolge ruoli pubblici, perché i cittadini devono sapere di chi fidarsi e per chi votare; ma un recupero del ruolo “educativo” del dubbio, della critica, della complessità diverrebbe prezioso strumento offerto dalle fonti di informazione anche alla magistratura, anche alle forze investigative, invece che attendere proprio da esse le informazioni da pubblicare, attenuando così la funzione di filtro e di vaglio critico che la stampa svolge a nome dei cittadini. Ancora. Chi svolge una pubblica funzione di necessità rinuncia a qualcosa sul piano della propria “privatezza”. E’ il prezzo che tutti devono pagare per la fiducia ricevuta. A me non interessano affatto le abitudini private di nessuno; ma trovo grave, superficiale e anche un po’ puerile l’esibizione di private relazioni, di amicizie, di rapporti, esibizione che, in chi non riveste funzioni pubbliche, potrebbe appartenere solo a mancanza di buon gusto. In tutto il mondo avviene così: persino il presidente della FIA, che rappresenta solo uno sparuto gruppo di operatori dello sport, è in questi giorni oggetto di un procedimento che lo potrebbe portare alle dimissioni. E di Clinton presidente degli USA sappiamo tutto. Dunque è necessario un atteggiamento composto e riservato, anche a costo di qualche rinuncia. Ma questo vale a tutti i livelli. Ricordo che ancora in tempi non remoti i sottoufficiali e gli ufficiali delle Forze dell’ordine avevano dei doveri disciplinari che interferivano nella loro vita privata; abbiamo apprezzato la loro progressiva scomparsa; ma è di tutta evidenza che la permanenza in una stessa sede per tempi molto prolungati li espone al rischio di essere individuati come centri di potere, come oggetti di una attenzione che non può non nuocere al loro lavoro e alla credibilità delle Istituzioni che rappresentano. Ovviamente anche al di là di ogni loro intenzione, volontà o azione. E talvolta con loro danno diretto o indiretto: perché se un loro congiunto, con pieno merito e per proprie capacità, viene assunto presso il tale Ente o presso il tale imprenditore, sarà difficile –in una società piccola come, a esempio, quella elbana- che non lo si attribuisca all’influenza del congiunto ‘potente’ (perché subito tutti diventano ‘potenti’ nella fantasia della gente), anche se è magari inconsapevole. O, come avvenuto in un caso che mi ha riguardato direttamente e che si è concluso con la dichiarazione della mia estraneità ai fatti imputati, la contiguità fra uno dei responsabili dell’unità operativa che ha eseguito un sequestro e uno dei cittadini che lo avevano invocato, è divenuta motivo di sospetto o di diceria, quando forse chi agiva compiva solo il proprio dovere o rispondeva a un ordine ricevuto. Poiché, oltre al doveroso rispetto per le persone (per tutte le persone, quale che sia la loro funzione o il loro stato), attenzione massima va prestata sempre – ma in questo momento con particolare forza- al prestigio delle Istituzioni, di tutte le Istituzioni. Chiunque attenti alle Istituzioni, o ne mini il prestigio e la dignità, implicitamente o esplicitamente apre la strada a poteri informali e incontrollabili, che subito sanno occupare il posto reso disponibile dal discredito e dalla sfiducia. Abbiamo da sempre consapevolezza, ma oggi abbiamo atroce conoscenza, della capacità di penetrazione delle mafie di tutti i tipi nei posti lasciati scoperti dalle Istituzioni. Tutti dobbiamo sapere che chi attacca le Istituzioni apre la strada alle mafie, e che le Istituzioni sono l’unica vera forza di contrasto. Il Tribunale di Livorno, celebrando la propria funzione istituzionale di giustizia, ha con la sentenza odierna restaurato le nostre Istituzioni.


Enrico Graziani testina

Enrico Graziani testina