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L'alba della Giustizia che tarda ad arrivare

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : domenica, 29 giugno 2008

“Shomér ma mi-llailah, ma mi-lell”: “Sentinella, a che punto è la notte?” .“La notte sta per finire ma l'alba non è ancora arrivata” (Is. 21, 11-12). Con queste parole di speranza Roberto Saviano, l’autore di Gomorra –uno dei libri più belli e più importanti degli ultimi anni−, lo scrittore che da anni vive sotto scorta per cercare di sfuggire alla vendetta della Camorra, conclude un suo intervento su “Repubblica” di qualche tempo fa a proposito del processo che allora stava per concludersi a Napoli contro i clan di Casal di Principe, e che si è poi concluso con la conferma delle condanne di primo grado ai capi: “Vorremmo che questo processo non sia soltanto un sogno di riscossa ma una concreta possibilità di far emergere il meglio di questa terra che non ne può più del marcio che la governa. E anche che questo auspicio possa stavolta giungere sino a Roma. Sperando di non dimenticare, sperando di poter mutare. E viene in mente un verso di Isaia capitolo 21, versetti 11 e 12, quando dice "Shomér ma mi-llailah, ma mi-lell" ovvero Sentinella, a che punto è la notte?". Il profeta che vide fuoco e fiamme, cede a questo verso di speranza: "La notte sta per finire ma l'alba non è ancora arrivata"”. E’ cosa bellissima che un uomo che vive in mezzo a gravissime difficoltà personali riesca a immaginare un futuro di libertà. Ed è bellissimo che sia un uomo giovane e tutt’altro che ingenuo. Questi giorni, infatti, sono densi di segnali contradditori e poco consolanti per la nostra società: il conflitto aperto e durissimo fra l’Esecutivo e l’Ordine Giudiziario, o meglio fra il Presidente del Consiglio e i magistrati che stanno giudicando in processi che lo vedono fra gli accusati, va sicuramente al di là del diritto di difesa, di critica, di dissenso che ogni cittadino detiene nei confronti di qualunque istituzione dello Stato. La richiesta di ingiudicabilità e in subordine la dilazione a tempi remoti dei processi, suffragate dalla capacità politica −derivante dal controllo della maggioranza del Parlamento− di legiferare sottraendo un cittadino ai suoi giudici naturali, con la motivazione che lo svolgersi dei processi sovvertirebbe la volontà degli elettori, somiglia molto a scenari che si sperava non dovessero mai più riproporsi per noi. Ma le conseguenze dei provvedimenti in discussione in Parlamento hanno anche una valenza più preoccupante: il rinvio dei processi riguarda reati anche gravi, e in particolare molti di quelli che costituiscono il pane quotidiano della mafia (estorsioni, rapine, ricatti, ecc.), quasi un compenso per il brillante risultato elettorale conseguito alle elezioni siciliane. E una valenza più immediata nella vita di molti cittadini comuni, rischiando di vanificare la possibilità che giungano a conclusione le loro personali vicende giudiziarie. E tutto questo costituisce motivo di preoccupazione democratica in misura non minore. Vi sono infatti casi –come il mio personale− in cui la conclusione dei processi diviene discriminante per la vita “normale” del cittadino, come lo è stato il coinvolgimento nelle accuse che hanno determinato il procedimento: chi è accusato è come sospeso in apnea fino alla conclusione del processo, tanto di fronte a se stesso, quanto di fronte a chi gli è vicino, quanto di fronte alla comunità in cui vive, specialmente se riveste o ha rivestito o intende rivestire responsabilità pubbliche. Certo non è difficile immaginare che chi è accusato si proclami non colpevole (e del tutto ragionevolmente, in molti casi); e nessuno gli può negare il diritto di ritenere ingiustificato o iniquo l’impianto accusatorio. Né è da ritenere a priori impossibile che i magistrati inquirenti e le forze di polizia giudiziaria possano cadere in errore, o essere disorientati da chi sia o si ritenga portatore di interessi o diritti che considera in qualche modo lesi da atti o comportamenti che ha ritenuto di dover denunciare. Il processo serve appunto a stabilire ordinariamente le rispettive ragioni. Talvolta le denunce sono anonime, e l’attività investigativa diviene nota solo a posteriori, materializzandosi come denuncia degli organi di polizia all’autorità giudiziaria, che deve aprire un procedimento; e purtroppo spesso la mera apertura di un procedimento ha lo stesso effetto di una pronuncia di condanna, se non interviene un proscioglimento o un’assoluzione, cioè se non si conclude il processo: vale a dire che il cosiddetto “errore giudiziario”, certamente possibile, trova soluzione positiva solo nel momento della conclusione del processo. Ed è altrettanto evidente che, per chi sia stato accusato senza che le accuse risultino comprovate, la possibilità di esercitare eventuali azioni volte a ottenere il risarcimento del danno ricevuto è ancora una volta collegata allo svolgimento del processo. E qualora risulti esserci stata malafede in chicchessia, è dovere civile che tale malafede sia resa manifesta ed eventualmente punita, anche se dovesse riguardare magistrati o organi di polizia giudiziaria; e ugualmente deve essere punito chi per difendersi avesse rivolto accuse di malafede a magistrati o organi di polizia giudiziaria. Accenno solo a titolo di esempio alle notizie di stampa relative alle vicende che hanno interessato alcuni noti imprenditori e uomini politici elbani: esiste il diritto degli accusati a vedere pronunciata una sentenza definitiva sulle imputazioni nelle quali sono stati coinvolti, a suo tempo assunte inopinatamente come condanne definitive, come oggi è divenuta assoluzione definitiva la derubricazione di parti di esse. Quel diritto viene soddisfatto solo con la celebrazione del processo. Esiste il diritto dei cittadini di conoscere se alcuni aspetti di grave compromissione di persone pubbliche o rivestite di funzioni istituzionali sono rispondenti a verità o sono calunnie, perché è sulla verità –producibile solo dai processi− che si fonderanno le loro future scelte. Specialmente in una piccola comunità come la nostra, nessuno si sottrae alla tentazione di stabilire nessi, attribuire peso a legami di relazione o parentela, mettere in collegamento eventi con altri sulla base di coincidenze che possono essere (o non essere) casuali; e al tempo stesso tanta attenzione e tanto zelo dedicati a indagare su vicende che riguardano persone più in vista e più vicine distraggono dall’attenzione verso pericoli sicuramente gravi come la presenza attiva della mafia e della camorra, che purtroppo non sono appannaggio solo di Napoli, della Sicilia e del Meridione. E non da ora. A Roberto Saviano e alla sua fiducia nel prossimo arrivo dell’alba dobbiamo una grande apertura di credito. Ma se vogliamo concorrere fattivamente a quella speranza dobbiamo operare un cambiamento di mentalità che ci faccia rapidamente abbandonare l’orizzonte della nostra individualità per abbracciare con lo sguardo quello più ampio dell’utilità comune, dell’impegno che leghi la nostra vicenda personale a quella di tutti coloro che condividono con noi il progetto della democrazia. Per poter fondatamente credere che la notte sta per finire anche se l’alba non è ancora arrivata.


Enrico Graziani testina

Enrico Graziani testina