Se la teoria del Prof. Michelangelo Zecchini avrà altri riscontri si dovranno riscrivere importanti capitoli dei libri di storia: l’età del ferro in Italia e nel Mediterraneo dovrà essere retrodatata di ben tre secoli. L’Isola d’Elba dovrà essere considerata come culturalmente centrale rispetto ai destini tecnologici del Mediterraneo. E tutto nasce dalla rilettura di un piccolo frammento ferroso rinvenuto 40 anni fa durante gli scavi effettuati dal prof. Monaco e dallo stesso Zecchini a Monte Giove, di una ambra micenea trovata da un appassionato nella stessa zona alla fine degli anni ottanta, ed infine da una nuova versione tratta da un passo delle Argonautiche del poeta alessandrino Apollonio Rodio nel quale si narra dello sbarco di Giasone e dei suoi compagni di avventura ad Argon, la moderna Portoferraio. Sono tre importanti tasselli di un’unica storia che come storia appunto esce dalla leggenda per trasformarsi in un’appassionante ricostruzione delle origini della scoperta del ferro e della sua utilizzazione. Procediamo con ordine: il frammento ferroso di 40 anni fa trovato a 60 centimetri sottoterra risultava alla stessa altezza dei reperti dell’età del bronzo, risalenti agli anni tra il XIV e XIII secolo a.C. Allora fu ritenuto una intrusione più moderna, appartenente all’incirca al medioevo. Successivamente Michelangelo Zecchini attraverso l’intepretazione di una goccia d’ambra formulò l’ipotesi che i Micenei conoscessero l’isola d’Elba per le sue miniere. “Da lì nacque la passione e la convizione che la storia di Portoferraio celasse ulteriori sorprese” – commenta lo stesso Professor Zecchini, direttore del Dipartimento di Archeologia del Forum dell’Unesco di Lucca. Il mito di Giasone e degli Argonauti è narrato in particolare da tre autori: Apollonio Rodio, il più antico di tutti, Diodoro e Strabone, il cui linguaggio è però piuttosto criptico. Si narra infatti che gli uomini “stanchi si detersero il sudore le pietre bianche (sulle quali nella leggenda il sudore degli argonauti avrebbe impresso le macchioline blu) trovando poi degli stracci miracolosi”. Appurato che la spiaggia è quella delle Ghiaie (si parla esplicitamente dell’Elba chiamata Aethalìa) la traduzione del passo è stata affidata da Zecchini al Prof. Riccardo Ambrosini dell’Università di Pisa, un grecista notissimo dal lavoro del quale spuntano dei “ciottoli porosi" e che invece di “stracci” traduce con "prodigiosi frammenti friabili" aggioungendo "questi sono rimasti sparsi per la spiaggia, simili al colore della pelle". I "prodigiosi frammenti friabili" potrebbero essere - Zecchini ne è quasi certo – i minerali di ferro, trovati casualmente dagli Argonauti che al contrario avevano vagato nel Mediterraneo alla ricerca di altri metalli, soprattutto il bronzo. Questo sposterebbe la datazione delle conoscenza del ferro dal X-IX secolo al XIII a.C. e ciò farebbe balzare l’isola d’Elba al centro della storia del Mediterraneo. Zecchini tenta anche una seducente ricostruzione di come poteva apparire il golfo delle Ghiaie ai tempi di Giasone quando il livello del mare era più basso di circa due metri: una sorta di barriera corallina che partiva da Capo Bianco (considerando la cintura di secche tuttora visibili) che riparava Portoferraio anche dai venti di ponente, rendendola un porto sicuro e ben protetto da ogni lato. Camminiamo, allora, inconsapevolmente sulla mitica Argon, quando andiamo a fare due passi in Calata, oppure quando spingiamo il carrello della spesa? Zecchini pensa che il sito originario sia proprio sulla prima collina, quella del centro storico, e per questo rivolge un appello alle autorità locali per quando dovranno affrontare qualsiasi tipo di escavazione: “occorre che ogni tipo di scavo sia controllato almeno da un archeologo, perché si rischia davvero, anche senza volerlo, di distruggere importantissime testimonianze.” La storia dell’Elba, in quel consistente e intricato filo di Arianna del tempo, è sempre più la storia di tutto il Mediterraneo.
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