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Il tonno rosso, le strisce blu e gli occhiali da vista

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 17 giugno 2008

Purtroppo quando tira aria di crisi economica il primo a rimetterci è l’ambiente (e, alla fine, l’uomo, tanto per chiarire subito che i due aspetti sono legati), solo che cinquant’anni fa non se ne accorgeva nessuno, e oggi, invece, il consumo di territorio è diventato un’emergenza internazionale che va ben al di là delle beghe nostrane (peraltro sempre divertenti). Come qualcuno ha fatto notare, spesso si parla di ambiente come si parlerebbe del calciomercato o di economia spicciola, sostanzialmente come se fossero possibili tutte le opinioni o come se si fosse competenti di cose che, invece, si conoscono solo per sentito dire. Nessuno metterebbe in discussione la fisica quantistica o la tassonomia paleontologica, ma, invece, tutti si sentono in grado di esprimere un parere sull’ecologia, che è scienza pure quella e si studia all’università, non al bar dello sport. Nelle questioni ambientali la base scientifica di dati conta ancora e certo non conta la popolarità delle scelte che, ai fini di fare quelle scientificamente corrette, è irrilevante. Averlo studiato per una vita e l’aver fatto esperienze sul campo non pare essere titolo di merito, ma, anzi, viene visto come un difetto. Non è così e le vicende di questi giorni lo dimostrano. I pescatori italiani si sono ribellati contro il divieto di pesca al tonno rosso sostenendo che non è vero che si siano superate le quantità massime stabilite. Ma è questo il problema ? Il tonno rosso è un animale magnifico, praticamente a sangue caldo, intelligente, velocissimo e predatore che ha incontrato sulla sua strada un super predatore, come l’uomo, che non obbedisce alla regola di natura per cui una risorsa viene gestita, non esaurita. Così gli stock di tonno rosso sono alla fine e l’animale sull’orlo dell’estinzione. Ma i pescatori vogliono continuare a decimarlo, senza porsi il problema generale e senza considerare gli studi scientifici che li dovrebbero indurre al senso del limite. Quello che servirebbe è un totale ripensamento delle regole di gestione della pesca per ricostituire gli stock su basi scientifiche, che includono, purtroppo, la chiusura totale della pesca nel mese di giugno, la riduzione delle flotte, la riduzione delle quote di pesce pescato, e addirittura la possibilità di chiudere la pesca per qualche anno. Per di più è stato documentato l’utilizzo di aerei da parte della flotta di pescherecci per individuare il tonno tra le isole di Malta, Pantelleria e Lampedusa, un’ area dove sarebbero attivi almeno 28 grandi pescherecci italiani impegnati nella pesca al tonno. L’utilizzo di aerei per l’individuazione dei tonni da parte delle flotte di pescherecci è severamente vietato nel Mediterraneo dal Diritto Internazionale, in quanto aumenterebbe ulteriormente le già enormi capacità di pesca dei pescherecci, che oggi minacciano seriamente la sopravvivenza dello stock e della pesca al tonno. Un tempo se raddoppiavi le navi, raddoppiavi anche il pescato, oggi tutti capiscono che se raddoppi le navi peschi la metà, per cui buon senso vorrebbe che questo tipo di pesca dovrebbe essere fermata, e, invece, si levano solo cori di protesta. Allo stesso modo funziona per le zone a traffico limitato nelle grandi città. Sono state istituite a fatica, con grande sollievo per le decine di migliaia di residenti, ma vengono combattute dai portatori di interesse commerciali perché, a loro dire, diminuirebbero le loro possibilità di fare affari. In certi posti è stata guerra: pur avendo grandi aree di parcheggio nei pressi, navette gratuite ed essendo spesso facilmente raggiungibili a piedi, si è data la colpa alle strisce blu di avere compromesso gli affari. Peccato che, quando non sono in funzione, gli affari vadano male lo stesso, a dimostrazione che si tratta più verosimilmente di incapacità imprenditoriale o di una crisi economica che non può essere risolta abbattendo le regole. E infine veniamo a noi. Ancora polemiche sui parchi e la legge 394 che non hanno gisutifcazione nei fatti. I parchi e le aree protette in Italia sono stati e sono una resistenza alla cementificazione del territorio che procede al ritmo insensato di 150.000 ettari all’anno (cosa che, nel resto del mondo, si chiama liberismo edificatorio o bulimia costruttiva). Hanno consentito di innalzare dal 3 all’11 la percentuale di territorio salvata dalle speculazioni e hanno contribuito allo sviluppo di molte aree ritenuta prima marginali. Sono istituzioni che reggono grazie alla saldezza di una legge nazionale che è ancora più che buona e che, semmai, deve essere applicata meglio, non mutilata. In un ecosistema malato cone quello italiano ci vogliono regole perché il vincolo posto si tramuti in una opportunità di sviluppo, ma comunque il parco garantisce sempre una migliore qualità della vita, concetto che ha a che fare con i valori e che, dunque, vedo difficile da assimilare. Quando, qualche anno fa, si decise di restaurare e chiudere al traffico Piazza del Popolo a Roma, anche per preservarne meglio lo stato dei monumenti, ci fu una ribellione: ma come, si disse, qualcuno ci vuole insegnare come dobbiamo comportarci, noi che siamo romani (sai che titolo …) e che abbiamo conservato così bene la piazza per secoli ? Nessuno si rendeva conto del degrado, che invece era visibilissimo da parte di occhi esterni, solo perché ci si passeggiava quotidianamente e ci si era dimenticati gli occhiali da vista. Tutto perché la cosa scaturiva da studi commissoniati dal comune a esperti di beni culturali anche stranieri. Ma chi erano, in realtà, i veri seguaci di Tafazzi ?


Tozzi Mario libro

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