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James Hilton Orizzonte Perduto

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 29 maggio 2008

Il treno si blocca a Chung-Kiang, e su un letto d’ospedale compare un uomo dall’accento inglese purissimo, «gli occhi più del colore blu di Cambridge che di quello di Oxford», la barba lunga e nessun ricordo. Ma soprattutto lo sguardo ansioso di raccontare una storia che «se veramente ci crederai, sarà per la famosa ragione di Tertulliano –ricordi?- quia impossibile est». Com’ è finito lì Conway? Con che cosa si è confrontato mentre il mondo si dimenticava di lui, dopo quel misterioso dirottamento nel maggio del 1931 durante l’evacuazione da Baksul a Peshawar? Un aereo pilotato da un Indiano o un Afgano scompare con a bordo tre uomini e una suora missionaria, ma non atterra da nessuna parte. O forse al di là delle terre conosciute, oltre le montagne più alte: valli fertili e monasteri dall’architettura armoniosa «con la grazia di petali floreali sparsi su una rupe rocciosa», di tribù dalle facce amichevoli e dai dialetti misteriosi. Come duemila anni prima le colonne d’Ercole ora le vette del Himalaya e gli altopiani del Tibet sembrano voler nascondere le origini di altri miti. Shangri-La, in mezzo all’Asia e nella fantasia, a stimolare il desiderio di confrontarsi con l’ignoto, con le infinite possibilità offerte da limiti solo apparentemente invalicabili. Hilton crea un non luogo che nel tempo è diventato meta da raggiungere, magari immaginaria, uno scopo. Un’utopia che giustificasse un’azione anche forzata, ma decisa, con un obiettivo ben preciso: abbandonare le certezze, rompere con gli schemi di una società che si subisce. Ma questa forse è una lettura che si fa a posteriori. Non volendo negare a Hilton addirittura di avere gettato le basi di tutto quel movimento che avrebbe portato negli anni sessanta giovani di tutto il mondo a confrontarsi con culture diverse, spiritualità diverse, e diverse scelte di astrazione. L’intenzione dell’autore però era forse un’altra. Molto più vicino Conway al Mr Gatsby di Fitzgerald, o all’addio alle armi hemingwayano, che non ai freaks di Pokhara e Kathmandu; più in sintonia con la cosiddetta lost generation, giovani sconfitti nell’anima dalla loro stessa umanità, da un a guerra mondiale vinta sul campo. Quattro anni sul fronte occidentale, e una delle personalità migliori d’Inghilterra si perde nelle devastanti contraddizioni che solo una guerra può riversare su un individuo. Alla fine solo in apparenza Conway ha tutte le caratteristiche per essere l’uomo giusto a Shangri-La: non bastano il suo modo di essere distaccato dalle persone e dagli eventi, la passione e il carisma del predestinato ovunque si trovi, nessun affetto da lasciare. Saggi e uomini e donne di cultura abitano Shangi-La, di età indefinibile, di origini e religioni diverse, dediti soprattutto allo scambio reciproco e alla conservazione delle loro conoscenze. Tutto sembra essere perfetto. « Se dovessi dirvelo in breve potrei definire la nostra principale credenza così: moderazione. Inculchiamo la virtù di evitare eccessi di qualunque specie, persino, perdonatemi, il paradosso, eccessi di virtù ». E’ questo alla fine ciò che davvero Conway desidera? Abbandono, sintesi delle emozioni, innalzamento e conservazione delle migliori capacità umane in uno spicchio di mondo avulso dalla realtà, dal confronto con le miserie e le depravazioni. Dal confronto con la vita. Davvero Conway dopo essere stato diplomatico di successo ma anche carne da macello, ha voglia di essere moderatamente uomo, anche per magari duecento anni? Oppure è stato solo un sogno, la voglia di crearsi un universo parallelo e la voglia di raccontarlo? Un’illusione. Se non fosse per quelle note di Chopin mai sentite prima, che un allievo del maestro, conosciuto chissà dove oltre le montagne più alte, continuava a suonare fra le mura di Shangri-La, come ora lui, su un cargo a vapore, che riporta «gli occhi più del colore blu di Cambridge che di quello di Oxford» verso un ’orizzonte qualsiasi nel golfo di Siam, verso la riappropriazione di se stessi. E in un manoscritto una storia che sarà credibile solo per la famosa ragione di Tertulliano –ricordi? - quia impossibile est. Sellerio ha ripubblicato nel 2006 “Orizzonte perduto”, scritto da Hilton nel 1933 (Lost Horizon), e da cui Frank Capra ha tratto nel 1937 un film giunto in Italia con il titolo di “Shangri-La”, che ha contribuito in modo determinante a creare il mito di questa magica e misteriosa città. Michele Castelvecchi James Hilton Orizzonte Perduto Sellerio € 10,00


copertina Orizzonte Perduto

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