Alla fine l'introduzione dei reati ambientali nel Codice penale che il governo italiano non è mai riuscita a fare ci costringerà a farla l'Europa. Oggi il Parlamento europeo ha discusso e approvato la direttiva che istituisce un elenco minimo «di reati ambientali gravi che dovranno essere considerati fatti penalmente rilevanti in tutta l'Ue qualora siano commessi intenzionalmente o per grave negligenza. Gli Stati membri potranno stabilire norme penali più stringenti. La tipologia e l'entità delle sanzioni, fissate a livello nazionale, dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive». Saranno perseguibili penalmente in tutta l'Unione europea: ogni comportamento che causi il significativo deterioramento di un habitat all'interno di un sito protetto; la spedizione di rifiuti in quantità non trascurabili che sia eseguita in un unico carico o in più carichi connessi; l'uccisione, la distruzione, il possesso e la cattura, di specie protette animali o vegetali; la produzione, l'importazione, l'esportazione e l'immissione sul mercato o l´uso di sostanze che riducono lo strato di ozono; lo scarico, l´emissione o l´immissione nell´aria, nel suolo o nelle acque, di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti, la fabbricazione, la lavorazione, il trattamento, il deposito, il trasporto, l´esportazione, l´importazione e l'eliminazione di materiali nucleari o di sostanze radioattive pericolose, che abbiano conseguenze sulle persone, sull'aria, sul suolo, sull'acqua, sulla fauna o sulla flora; a complicità e il favoreggiamento a commettere intenzionalmente le azioni appena descritte. Il relatore Hartmut Nassauer, un democristiano tedesco, ha proposto al Parlamento europeo un pacchetto di 35 emendamenti di compromesso, sostenuto dai principali gruppi politici, che permette l´adozione definitiva della direttiva sulla tutela penale dell´ambiente. Uno degli emendamenti che raccoglie i suggerimenti dei deputati europei precisa che la direttiva «obbliga gli Stati membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali per gravi violazioni del diritto comunitario in materia di protezione dell´ambiente». Ogni Stato membro dovrà adottare le misure necessarie per rendere penalmente perseguibili una serie di attività «poste in essere intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza». Tra queste figurano «la raccolta, il trasporto, il recupero e l´eliminazione di rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e la gestione successiva di impianti di eliminazione e incluse le attività eseguite da intermediari o mediatori (gestione dei rifiuti), così come il funzionamento di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate sostanze o preparazioni pericolose, che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell´aria, del suolo o delle acque oppure alla fauna o alla flora». «Finalmente l'Unione Europea si dota di uno strumento legislativo in grado di contribuire alla lotta contro i crimini ambientali, con una direttiva che punisce le ecomafie con sanzioni pecuniarie o reclusione». Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, è soddisfatto che il Parlamento europeo abbia adottato oggi il testo dell'accordo raggiunto con il Consiglio in materia di reati ambientali. «Purtroppo - precisa però Cogliati Dezza - in seguito a una sentenza della Corte di Giustizia europea, le sanzioni dovranno essere definite a livello nazionale, anziché europeo, come previsto dalla proposta iniziale della Commissione. Legambiente si impegnerà con forza affinché il governo italiano nel recepimento della nuova direttiva faccia proprie le sanzioni previste dalla proposta iniziale della Commissione. Dietro ogni fenomeno di aggressione criminale all'ambiente - prosegue il presidente di Legambiente - si nasconde un interesse illecito. Questa nuova direttiva deve servire, ora, a completare il processo di riforma della normativa ambientale italiana, iniziato con l'approvazione nel 2001 del delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti e mai concluso, procedendo una volta per tutte all'inserimento dei delitti ambientali nel codice penale». Il Parlamento italiano ha istituito, nelle ultime 4 legislature, una Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, che ha sviscerato il business illegale in tutte le sue forme. Nel 2001 è stato finalmente approvato il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. L'Italia nel contesto internazionale può vantare, infatti, per certi versi di un primato, visto che le attività della criminalità ambientale sono analizzate ormai con un certo dettaglio. Dalla pubblicazione del primo Rapporto Ecomafia di Legambiente nel 1994, le forze dell'ordine si sono strutturate con banche dati sui reati ambientali su scala nazionale e regionale, che vengono annualmente elaborati da Legambiente e pubblicati nel suo rapporto annuale. Secondo Ecomafia 2007, nel 2006 sono state accertate in Italia ben 23.668 infrazioni alla normativa ambientale, il 45,9% delle quali sono state accertate nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Sono stati 4.409 i reati accertati nel ciclo dei rifiuti, il 35,5% dei quali compiuti nelle 4 regioni più esposte al fenomeno delle organizzazioni mafiose. Considerando tutto il ciclo dei rifiuti, che comprende l'intera filiera che va dal trasporto, al trattamento, allo stoccaggio e allo smaltimento finale, il business illegale stimato dalla nostra associazione supera i 5,8 miliardi di euro. Le inchieste condotte dopo l'introduzione del delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti (unico del genere in Europa e che consente un'efficace attività investigativa), hanno consentito di accertare il coinvolgimento di 10 Stati esteri: 4 europei (Austria, Francia, Germania e Norvegia), 4 asiatici (Cina, India, Siria e Russia) e 2 africani (Liberia e Nigeria). Il 47% dei rifiuti sequestrati erano diretti in Cina, il 16% a Hong Kong e il 12% in Irlanda. Secondo il rapporto sulla criminalità ambientale in Europa pubblicato nel 2003 dall'istituto di ricerca tedesco Bfu (Betreuungsgesellschaft für Umweltfragen), invece, dal 1992 al 2002 negli allora 15 paesi membri dell'Unione Europea sono stati censiti 122 casi di illegalità ambientale grave. (nella foto resti di un cinghiale arso vivo in un incendio boschivo doloso)
cinghiale morto incendio