Chissà se era una primavera come quella di quest’anno, quella del 1945, tra scrosci di pioggia e abbagli di luce, tra un volo di rondini e l’odore umido dell’erba nuova? Ma certo le speranze fiorivano nei cuori, come gli iris o i papaveri nei campi. La guerra di liberazione dal nazifascismo era alla sua conclusione, forte spirava il vento del Nord, che aveva travolto svastiche e saluti romani, diffondendo, insieme ai pollini, i semi della democrazia negletta e umiliata dal ventennio. Con molto di più, rispetto a due decenni prima: la coscienza che niente di nuovo e di positivo si sarebbe potuto costruire senza il contributo delle donne, la loro partecipazione politica e morale alla rifondazione del Paese. Se l’erano guadagnato abbondantemente questo nuovo rispetto, le donne, non soltanto col sacrificio oscuro di sempre, ma con la partecipazione attiva o di supporto, di molte, alla guerra partigiana e quindi alla Liberazione. La nuova Italia sarebbe nata anche da questo speciale humus femminile intriso di pazienza, di coraggio e di speranza. Voto alle donne, Referendum istituzionale, Assemblea costituente, Costituzione: nel giro di pochi anni una rivoluzione politica e culturale trasforma il Paese. Ma tutto nasce da quel 25 aprile, traguardo di un cammino di lacrime e sangue cominciato con l’annuncio di un armistizio che lascia l’esercito allo sbando, provoca eccidi tra i militari, come quello tragico di Cefalonia, o la loro deportazione in Germania, abbandona l’Italia all’occupazione nazista, al tradimento monarchico, alla divisione tra un Sud presto libero e un Nord che lo sarà soltanto un anno e mezzo dopo, alle frequentissime e inenarrabili, per la loro crudeltà, stragi di civili. E in quadro così fosco, così avvilente, tra i tedeschi occupanti e gli Alleati liberatori (ancora una volta, come per secoli, il nostro destino nelle mani degli stranieri) che cosa avrebbe potuto restituirci un po’ di dignità se non la Resistenza!? Senza la scelta volontaria, ma difficile e sofferta, di tanti antifascisti, giovani e meno giovani, di differente colore politico ma di uguale anelito democratico, di accantonare il loro privato ( lavoro, studio, sentimenti affetti) per un ideale collettivo di libertà e di giustizia, mettendo a rischio la stessa vita -spesso gli anni più belli - che ne sarebbe stato della nostra povera Italia? Certo avremmo avuto comunque, anche se più lenta e tarda, la sconfitta del nazifascismo, da parte delle truppe alleate, sul nostro territorio, ma sarebbe mancato qualsiasi riscatto morale da parte nostra e l’infamia dell’alleanza con Hitler avrebbe costituito la cifra vergognosa della Nazione. Le speranze fiorite in quell’aprile 1945 hanno generato la nostra democrazia: per essa hanno lottato e patito tanti uomini e donne a cui siamo debitori della libertà di cui godiamo. Non lo dimentichiamo e facciamo diventare questa data la festa di tutti gli autentici democratici, una festa che unisce e non divide, come il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli USA: solo così rispettiamo il passato e ci proiettiamo nel futuro, il quale, come si sa, ha un cuore antico e dunque non può vivere senza memoria.
donne resistenza