Da anni ormai il Canile suscita interesse e attenzione da parte di tutti e ognuno di noi ha sperato e spera nella sua prossima realizzazione, tuttavia molte parole sono state spese per ciò che riguarda gli aspetti burocratici, politici e strutturali ma, a mio avviso, poco è stato su cosa sia veramente un canile e a cosa dovrebbe servire all’interno di una comunità. Oggi la struttura-canile rappresenta effettivamente un nodo fondamentale nel rapporto uomo-animale, capace di svelare gli aspetti critici che l’integrazione sociale del cane offre e allo stesso tempo di misurare il grado di cultura che una società possiede per offrire soluzioni adeguate alla natura del problema. Fino ad oggi il canile è stato affrontato con un approccio esclusivamente sanitario e/o protezionista ma non vi è dubbio che sia necessario andare oltre per trovare un nuovo paradigma culturale, più complesso, che sappia valorizzare quanto di buono c’è in questi concetti e sappia scartare quanto invece c’è di inutile o addirittura dannoso. Infatti l’aspetto protezionista, tipico delle associazioni zoofile, spesso predilige l’aspetto pietistico che non promuove quella valorizzazione del cane che si rende indispensabile per i processi adottivi; allo stesso modo l’attenzione sanitaria per evitare problematiche di salute per gli stessi cani ma anche per l’uomo, ‘medicalizza’ eccessivamente la relazione proprio tra uomo e cane. E’ necessario pertanto un approccio zooantropologico sfruttando tutto quello che di buono, negli ultimi quindici anni, hanno portato le scienze comportamentali applicate: quindi è importante, prima di tutto, favorire l’integrazione sociale del cane agendo sulle sue qualità di relazione e sulla maggiore consapevolezza delle persone. Ecco che quindi al Canile spetta un compito importante nella preparazione e informazione dei cittadini, contribuendo ai servizi di promozione e sostegno adottivo: il canile deve diventare un ‘progetto’, si deve passare dal modello ‘discarica’ a quello di polo zooantropologico a servizio del cittadino ma per fare questo bisogna riformularlo sotto il profilo strutturale e gestionale; deve essere abbandonata la visione tradizionale dove si parla del cane come entità da ospitare mentre si deve abbracciare l’idea di una struttura che coinvolga la società in una proposta culturale in senso integrativo e non emarginativo del cane. In caso contrario, la struttura creata non è in grado di interpretare la tendenza di una società, non fa parte di essa ma ne è totalmente scollegata, e non avrà alcun significato se non quello di favorire clientele politiche e affari privati. Credo quindi che, con l’aiuto di tutte quelle figure professionali che possano servire al caso (educatori cinofili, volontari, veterinari, amministratori..), sia nostro dovere trasformare il canile da struttura chiusa, nata per il mantenimento e l’accoglienza dei cani, in presidio aperto all’esterno attraverso un lavoro fatto per portare i cani il più presto possibile al di fuori della reclusione della struttura. Pensare e realizzare un canile del genere significa trasformare culturalmente l’idea che abbiamo radicata dentro di noi e anche se questa ‘rivoluzione mentale’ richiederà del tempo, sarà indispensabile fin dalle prime fasi di progettazione per impedire che la struttura possa esaurire la sua capacità e infine collassare, perdendo ogni utilità per i cani ospitati e per la comunità che accoglie il canile.
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