Sta arrivando a conclusione una stanca campagna elettorale. Nessuno voleva queste elezioni ora, tranne Berlusconi che doveva in ogni modo evitare che arrivasse in Parlamento la legge Gentiloni sulla televisione. Nessuno era preparato, e infatti nulla di nuovo si è ascoltato: la Destra berlusconiana è vecchia dentro, come il suo leader; e i continui lifting la fanno tutt’al più apparire ‘giovanile’, che è anche peggio. Il Partito Democratico ha messo insieme un programma moderato, fattibile ma senza respiro, che anche se applicato alla lettera non modificherebbe nulla ma proprio nulla della nostra società. Veltroni non ha la faccia nuova, ma certo è più giovane e più credibile del suo diretto avversario; eppure le cose dette e promesse non vanno oltre la speranza di una buona ordinaria amministrazione. Casini è stato bravo. Ha tenuto la posizione; e senza indicare neanche un punto di programma ha trovato -nell’opposizione alla cialtroneria dell’affabulazione, dell’ammiccamento, delle sparate da televendita della propaganda dei suoi ex compagni di strada- il modo per esaltare un suo possibile ruolo di mediazione. La Sinistra è rimasta bloccata dal gran rifiuto di Veltroni: con mille ragioni, perché tutto sommato la sua lealtà a Prodi è stata comprovata, anche quando il gioco degli equilibrismi parlamentari l’ha costretta a mandare giù ignobili rospi (sia detto senza alcun riferimento a Dini). Ma ha finito per ridurre il suo discorso politico alle lamentazioni contro quel governo che pure era anche il suo, e ad arroccarsi sull’armamentario tradizionale della giustizia e dell’equità, che sono sicuramente fondamentali nella vita della società, ma appunto perché fondamentali si devono considerare un punto fermo –come la correttezza, l’onestà, la moralità- e non un punto programmatico. Solo Bertinotti poteva forse gestire una campagna elettorale imprevista e improvvisata, e lo ha fatto con coraggio e dedizione, ma senza quell’ampiezza di ragionamento e di prospettiva che –unico nel panorama politico italiano- riesce a dare al discorso politico quando non è pressato dall’emergenza elettorale. Comunque, a mio avviso, un elemento di chiarezza questa tornata politica lo ha prodotto: davvero è marcata la differenza fra la proposta della Destra, con il richiamo all’individualismo più esasperato confuso con il mercato; il Centro moderato, che riconduce all’esperienza democristiana e al suo pragmatismo senza programmi; i Democratici, con il tentativo di mediare fra individualismo e pragmatismo, richiamandosi all’idea di un capitalismo dal volto umano, che non c’è mai stato da nessuna parte e non so se augurarmi che ci sia mai; e la Sinistra, ancorata al sociale, all’ecologia, alla giustizia. Si va dunque a votare secondo appartenenza, per adesione a una visione del mondo, per distinguersi o per riconoscersi. Il contrario di votare un programma. E meno male. Se è vero, come appare, che l’età media dei candidati supera largamente i quaranta anni, è meglio che per i programmi si aspetti una prossima tornata, sperando che nel frattempo abbia avuto corso l’unica vera rivoluzione auspicabile: quella dei giovani –i lontani, i distratti, oggi estranei e all’apparenza indifferenti- che, mettendo finalmente termine alla nostra tragica gerontocrazia, ci costringano a confrontarci con idee, esigenze, metodi e programmi nuovi.
luigi totaro