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A Sciambere della signora del Mulino Bianco

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 08 aprile 2008

Mi chiamo Rita Piesco, sono nata e risiedo a Roma, per una serie di motivi che non sto qui a spiegare mi sto confrontando con la realtà elbana da circa tre anni. In merito all' articolo apparso il 3 Aprile 2008 a firma di tal s.r. titolato " Scarna cronaca di un fattaccio a nota a margine", pur non conoscendo l'autore di questo pezzo, desidero dire la mia senza alcuna pretesa di venir pubblicata cosa che ritengo tra l'altro alquanto improbabile. Premesso che, qui nella capitale sono talmente tanti tali fatti di cronaca che questi episodi non vengono neppure menzionati, la mia attenzione è stata colpita dalla veemenza del giornalista succitato nel puntare il dito contro la società accusata di qualunquismo e, addirittura, implicitamente contro le forze dell'ordine, nonché dei genitori stessi del soggetto. In primis il soggetto, denominato T.H.S., è notoriamente definito tossico, termine volutamente occultato a mio avviso, ma essenziale per rendere appieno la gravità della situazione, il baratro e lo sconforto nel quale le famiglie vengono gettate in nome di qualsivoglia dipendenza! Se per società il giornalista si riferisce a mancanza di strutture atte al recupero di persone disagiate, può anche trovarmi d'accordo ma, dissento fortemente qualora per tale termine intendesse dare dei superficiali a persone comuni che, in quanto tali, lavorano, non rubano, pagano le tasse, non nuociono a nessuno e che soprattutto cercano di difendere se stessi ed i propri figli da eventuali aggressioni gratuite. Per quanto riguarda le forze dell'ordine, trovo veramente mortificante sia per T.H.S., sia per le forze dell'ordine stesse, la denominazione "pratica da carabiniere", il ragazzo non è carne da macello come le forze dell'ordine non sono dei macellai!!!! In quanto alla presunta mancanza di dimostrazioni affettive nei confronti di T.H.S. mi chiedo: ma cosa è un'adozione se non un affetto reso in maniera spontanea e gratuita? Qualcuno si sofferma a pensare alla sofferenza di questa madre che sta scontando ogni giorno della sua vita lo scotto di questo gesto d'amore? Rita Piesco Gentile signora Mi chiamo Sergio Rossi sono nato e risiedo a Portoferraio e da 60 anni mi confronto con la realtà elbana cercando di capirci qualcosa, dirigo questo giornaletto e sono io quel “tal giornalista” che ha siglato s.r. l’articolo che tanto sturbo le provocò. Potevo pure farne a meno, è uso normale, nei giornali, che i corsivi non firmati siamo attribuiti al direttore (funziona così anche a Roma creda). Come vede ha iniziato la sua lettera con una errata previsione, quella della non pubblicazione, attribuendoci atteggiamenti censori e forse in cuor suo un vigliacchetto sottrarsi al confronto che è molto lontano dalla nostra pratica. Questo giornale pubblica integralmente tutto di tutti (pure le lettere indirizzate a chi scrive abitualmente su queste pagine molto più sgarbate, presuntuose e tranchant della sua, che comunque si difende benino) Non ho nessuna acrimonia contro la gente capitolina, tanto è che frequento quotidianamente da anni 35 una signora romana che mi ha reso direttamente padre di due belle figliole ed indirettamente nonno di due frugoli. Ciò premesso, nella gente cittadina (meglio: metropolitana) che sbarca tra noi selvaggi elbanesi mi è capitato spesso di individuare un “vezzo”, quello di pensare dopo tre minuti, di aver capito tutto di questo posto e dell’umanità che lo popola e lanciarsi nella stesura di non richieste lezioncine da maestrini/e dalla penna rossa e blu. Ma poiché “non è villano chi sta in villa ma chi fa villania” e poiché questi improvvisati docenti e/o censori spesso non sanno realmente di cosa parlano e con chi, ciò che ne emerge non è offensivo solo perché è ridicolo. Chi le scrive cara signora non ha mai pensato (ma come si permette?) di dipingere i Carabinieri come dei “macellai sociali”, anche perché con loro e con le altre forze dell’ordine ci lavora un giorno sì e l’altro anche, e, fatto non sempre scontato tra i pubblici informatori, rigorosamente dalla stessa parte quella della legalità senza se e senza ma, si tratti di un balordo che non conta niente o si tratti di un potente “apparentemente rispettabile” inquinatore, cementificatore, truffatore, strozzino, cocainomane, corrotto o concusso etc .. Proprio questa quotidianità di rapporti mi aiuta a comprendere la intima difficoltà di un tutore dell’ordine che deve necessariamente reprimere, ammanettare e spedire in gattabuia una persona (quel “tossico” è comunque una persona) sapendo che quasi certamente la detenzione sempre più lunga non servirà a rieducare, perché con THS il contesto sociale (noi quindi, non lei, mi scusi, che non c’entra un piffero) la partita l’ha persa parecchi anni fa. La somma delle entità educanti che hanno avuto a che fare con questo che era un “ragazzo difficile” (tra i quali non io ma lei e ha citato espressamente la famiglia) non hanno funzionato, ce lo hanno mostrato per anni buttato per strada come un coniglio a cercare di carpire l’attenzione del prossimo nell’unica maniera possibile per lui: riempiendosi di alcol ed altre schifezze. Veda signora lei certo non immagina che ad ogni arresto di Ths, di cui mi tocca scrivere, mi torna in mente di quando salutò mia figlia, un giorno di Pasqua di qualche anno fa: erano le una stava aspettando al porto la nave che salpava un’ora dopo, in tutto il porto non si vedeva un’anima, aveva in mano un panino ed una birra, e io non dissi a Teresa come ero tentato di fare: “Invitalo a mangiare da noi”. Quelle poche volte che si era avventurato tra queste mura (che non danno fisso albergo a tossico alcuno – per chiarire) il deviante Ths non aveva avuto un atteggiamento men che rispettoso (forse perché temeva gli fosse in caso contrario applicata la manu-podalica terapia del “calcio e pattone”, ma non sgarrava). So perfettamente che quell’invito a pranzo era un niente, non avrebbe certo cambiato la sua sgangherata vita, ma era una piccola cosa che potevo fare per lui, che non ho fatto, e ancora me ne dispiace. Non so se è riuscita a capire, cosa intendevo dire con la responsabilità collettiva, se sì bene, se no bene lo stesso. Se ne resti pure nel suo Mulino Bianco da perbenista con la porta blindata, si difenda dai vili delinquenti che pullulano nel nostro mondo. Lasci però ad altri che lavorano, pagano le tasse, amano i figli ed hanno a cuore l’incolumità delle mamme ed il rispetto della legge non meno di lei, la facoltà di ficcare le mani nella merda per vedere se di tanto in tanto qualcosa si riesce a recuperare.


Mulino Bianco

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