Per i Cristiani la Pasqua segna il culmine dell’anno liturgico celebrando la Resurrezione del Cristo, che è trionfo sulla morte e sul male del mondo. E’ una festa mobile, che può cadere tra il 22 marzo e il 25 aprile, ossia la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, proprio all’inizio della bella stagione, quando le ore di luce pareggiano quelle di buio e cominciano lentamente, giorno dopo giorno, a superarle, dando avvio alla metà luminosa dell’anno, da sempre considerata più propizia dagli esseri umani: inevitabile, perciò, che le tradizioni pasquali abbiano legami più o meno espliciti con i riti, di origine remotissima, che esaltavano la rinascita della natura, la fecondità, la vita stessa che si rinnova dopo la desolazione dell’autunno e dell’inverno, la metà oscura dell’anno. Del resto, il termine inglese Easter o quello tedesco Ostern non hanno evidentemente nessuna affinità con l’ebraico pesah, (“passaggio”), da cui deriva il greco paska e il latino pascha: la Resurrezione di Gesù avvenne infatti durante la “Pasqua ebraica”, che ricorda l’esodo dall’Egitto del popolo d’ Israele ma i Cristiani conservarono il nome della festività primitiva ad indicare un evento del tutto diverso da quello originario. Easter e Ostern, invece, etimologicamente, alludono a uno scenario mitologico pagano, che proprio nei giorni dell’equinozio festeggiava il ritorno della “stella dell’est”, la divinità anglo-sassone della fertilità chiamata Eostre o Ostara, l’equivalente “nordico” delle mediterranee Afrodite e Venere e della babilonese Ishtar. Ne parla Beda il Venerabile, dotto monaco benedettino inglese, vissuto tra il settimo e l’ottavo secolo, che nel suo De temporum ratione la mette in relazione con il risveglio della vegetazione, mentre Jacob Grimm, in Teutonic Mythology, oltre a renderla generosa dispensatrice di fecondità, la collega alla luce d’oriente e all’equinozio, chiamato dai Celti Eostur-Monath e poi Ostara. Ebbene, il tema della luce, del “fuoco” ricorre molto anche nella cultura cristiana, che si è sovrapposta a quella pagana operando con essa una sorta di convincente, ed a tratti inestricabile, sincretismo religioso. Nel suo Ramo d’oro Frazer ci parla delle feste del fuoco primaverili, che di solito iniziavano la prima domenica di quaresima: esse erano diffuse in tutta Europa, con scopo augurale e scaramantico. Intorno a tali “fuochi di gioia” si cantava e si danzava. I falò sulle colline, nelle intenzioni di chi li accendeva, dovevano propiziare la fertilità ed allontanare le congiunture atmosferiche negative, come i fulmini o la grandine e, quanto più tardi si spengevano, tanto più fruttifera sarebbe stata la terra. In Germania, ma anche in altre parti d’Europa e della stessa Italia, sembra che ancora oggi i contadini, in omaggio all’antico rito, raccolgano tutti i rami secchi che trovano nelle campagne, ne facciano un grande rogo e ne spargano le ceneri sui campi, mentre i tizzoni ardenti vengono portati all’interno delle abitazioni per scacciarne gli spiriti maligni. Da queste consuetudini deriverebbe la tradizione del grande cero pasquale, fuoco sacro per la religione cristiana, col quale il sacerdote, il Sabato santo, prima della celebrazione della Messa di Resurrezione, usa riaccendere i lumi spenti della chiesa: sul buio, simbolo del dominio del male e del peccato, trionfa la luce, emblema di vita spirituale; per questo le candele santificate da quel fuoco sono (erano) degne di essere portate a casa e custodite con cura. Tra le usanze pasquali più diffuse e radicate c’è quella di scambiarsi le uova di cioccolato. L’uovo, da sempre, infatti, è simbolo di creazione, di rinascita: la primavera porta gli uccelli a deporre le uova e queste, per il cacciatore e il raccoglitore di un tempo lontanissimo, costituivano una preziosa fonte di sussistenza, dopo le ristrettezze invernali. Presso molte mitologie, inoltre, l’uovo primordiale, embrione e germe di vita, è il primo essere a emergere dal caos: esso stesso emblema, per la forma, la compattezza, il valore oggettivo ma soprattutto virtuale (dal suo dischiudersi può nascere un nuovo essere), di “cosmos”. Una tradizione ancora oggi diffusa in area germanica è la ricerca, nei giardini delle case, delle uova nascoste dal “coniglio pasquale”; in Inghilterra invece si fanno rotolare sulla strada uova sode fino a quando il guscio non si sia completamente rotto. Tali usanze hanno uno stretto legame proprio con il culto di Eostre: infatti presso i pagani si celebrava il ritorno della dea andando a scambiarsi “uova sacre” sotto l’albero ritenuto magico del villaggi, in quanto la divinità proteggeva e favoriva la fertilità di ogni aspetto della natura. Cari ad Eostre erano la lepre o il coniglio, animali prolifici per eccellenza, che i Britanni e i Germani associavano alle divinità lunari, in quanto le aree nere della luna li rappresenterebbero. La raffigurazione della “ lepre nella luna” è presente anche in tradizioni cinesi, africane e indiane. Alcune leggende narrano infatti del sacrificio dell’animale, che si sarebbe buttato spontaneamente nel fuoco per nutrire il Buddha affamato: in seguito, per gratitudine, egli avrebbe impresso l’immagine della lepre sulla luna. In Cina “l’animale lunare” è raffigurato con un mortaio e un pestello mentre prepara un elisir d’ immortalità, gli Indiani Algonchini addirittura adoravano la Grande Lepre come creatrice della Terra. L’antenato dell’odierno coniglio pasquale, dunque, quello che nasconde le uova nei giardini delle case perché i bambini tedeschi ne vadano gioiosamente alla caccia, era dunque la lepre di Eostre, che deponeva l’uovo della vita per annunciare la rinascita della Natura. Il cibarsi delle uova a Pasqua, all’inizio del periodo primaverile, diventa così un rito di partecipazione alla resurrezione, mentre l’usanza di colorarle diversamente, prima di posarle su un cestino di vimini, anch’esso abbellito da nastri e fiocchi, per portarle a benedire in chiesa, è un probabile riferimento alla deposizione di uova differenti da parte delle diverse specie d’uccelli. La stretta connessione tra consuetudini pasquali, ancora oggi vive, e i remoti riti primaverili si riflette nei “giardini” del Sepolcro di Cristo, tipici del Venerdì santo di molte località, che appaiono una rilettura in chiave cristiana degli antichi e pagani “giardini d’Adone”. Dopo l’equinozio di marzo, si celebravano nel mondo greco le feste Adonie, che ricordavano la resurrezione di Adone, bellissimo giovane amato da Afrodite. Nella sua infanzia la dea lo nascose in una cassa che consegnò a Persefone, regina del mondo sotterraneo; ma quando Persefone aprì la cassa e vide la bellezza del bambino, si rifiutò di renderla ad Afrodite, malgrado la dea in persona fosse scesa agli Inferi. La disputa fu placata da Zeus, il quale stabilì che Adone abitasse con Persefone nel mondo delle tenebre, per una parte dell’anno, e per l’altra nel mondo superiore. Il giovane venne poi ucciso per gelosia da Ares trasformato in cinghiale. Adone è in mitologia il corrispondente greco del dio assiro-babilonese Tammuz cui ci si rivolgeva chiamandolo Adon, cioè signore, il quale dimorava sei mesi all’anno negli Inferi e a primavera risaliva alla luce, congiungendosi con Ishtar, l’Afrodite babilonese. Ebbene, che Adone rappresentasse in realtà lo “spirito arboreo”, che si eclissa per metà dell’anno e risuscita nel rimanente, è testimoniato appunto dai “ giardini” a lui offerti: cesti e vasi pieni di terra in cui si seminavano grano, orzo, lattuga e varie specie di fiori, che il calore faceva rapidamente germinare; insomma, una sorta di “modello d’imitazione” per incoraggiare la crescita della vegetazione e soprattutto delle mèssi. Ora, sappiamo dal Ramo d’oro di Frazer che, all’avvicinarsi della Pasqua “le donne siciliane seminano grano e lenticchie in piatti che tengono al buio e annacquano ogni due giorni”: le piante crescono bianche, private come sono della clorofilla, e con esse si ornano, nelle chiese cattoliche, gli altari che ricordano il Sepolcro del Cristo morto. Proprio come si faceva un tempo col dio Adone! Lo studioso ipotizza che in altre parti d’Italia questo avvenga ed ha ragione, perché anche all’Elba era diffusa quest’usanza: ciascuno portava al Sepolcro le piante più belle del proprio giardino e i piatti di candidi grani. Al pari di altri luoghi, nella nostra isola la festività è avvertita, oltre che per la sua valenza spirituale, come preludio ad un periodo dell’anno più favorevole e propizio. La si accoglie con le cosiddette “pulizie di Pasqua” nelle abitazioni e nei giardini. Le giornata più lunghe e luminose si prestano a queste operazioni, che probabilmente hanno anche un valore catartico: la purificazione interiore legata alla Quaresima si deve accompagnare a quella materiale dell’ ambiente quotidiano. I giorni precedenti la Domenica di Resurrezione, dunque, nelle abitazioni private, ma non soltanto, considerando che proprio la Pasqua segna da noi l’esordio della stagione turistica, al profumo di pulito si mescola quello dei dolci tipici del periodo. Oggi la tradizione casalinga si è un po’ persa, soppiantata dal meno faticoso ricorso ai prodotti dei forni locali, ma in molte case sopravvive, specialmente dove ci sono nonne volenterose e in forze! Rammentare questi dolci mi porta il profumo delle fresie, oltre quello dell’infanzia, e il suono delle campane a festa. La schiaccia pasqualina richiedeva tempo, pazienza ed esperienza: i tempi di lievitazione erano lunghissimi, l’impasto doveva assolutamente accogliere semi d’anice, che diffondevano intorno un aroma inconfondibile mentre la spalmatura esterna era rigorosamente eseguita col rosso d’uovo. L’attenzione delle donne in quei giorni era anche dedicata all’anellata, un dolce con lo strutto, senza lievito, simile alla crostata. Lo si cospargeva di zucchero e lo si decorava con buchini di forchetta e circolini fatti con il ditale (anello) prima di infornarlo. Aveva un sapore buonissimo, unico. Credo sia in disuso e comunque oggi si preferisce utilizzare il burro. Invece ancora molto diffusa in tutta l’Elba, sebbene la sua origine appartenga al versante orientale, resta invece la sportella, ciambellina di pasta frolla, cosparsa di zuccherini colorati, simbolo di fertilità femminile, a cui gli antichi riesi abbinavano il cirimito, il corrispondente maschile: i due tipi di dolci venivano scambiati dai giovani in festa il Lunedì dell’Angelo, giorno di Pasquetta, durante la scampagnata a Santa Caterina, antico santuario mèta del duplice pellegrinaggio, non sempre tranquillo data la proverbiale rivalità tra i due “campanili”, da Rio Marina e da Rio Elba. Anche le radici di questa consuetudine nostrana sono probabilmente da ricercare in quel patrimonio di riti primaverili, comune a popoli diversi, che celebravano con modalità affini l’inizio della bella stagione e con essa la fecondità di tutti gli esseri viventi, perché, almeno tra le specie, se non nel singolo individuo, sulla morte potesse trionfare decisamente la vita. (nella foto un momento del "Maggio di San Piero")
Maggio S.Piero