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Controcopertina: Armarsi per una lunga battaglia di cultura e di progetto di società,

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 28 febbraio 2008

Caro Sergio, ho letto con profonda simpatia il tuo “A sciambere” di oggi, e so bene che quando si segue con passione il filo di un ragionamento è difficile soffermarsi a considerare tutto. Lasciami allora aggiungere un pensiero che solo apparentemente contraddice il tuo, ma che vuole soprattutto prevenire la tentazione di creare identità esclusive proprio nel momento in cui il gioco delle esclusioni sembra diventato, come tu dici, l’arma preferita contro chi rivendica il diritto alla politica. Mi riferisco al passaggio in cui tu stigmatizzi la giovane candidata capolista in Lazio per la sua affermazione –come nota di merito– di non aver mai fatto politica, e soggiungi “Magari lei lì ha un nonno minatore…” ecc., quasi rivendicando per l’appartenenza al popolo degli oppressi il diritto esclusivo o primario alla politica. Né Marx, né Engels, né Lenin, né Anna Kulisciov o Dolores Ibarruri, né Togliatti o Berlinguer o Pintor o don Milani, o Ghandi (e sai bene quanti altri ne potrei mettere in fila) avevano nonni minatori licenziati o mamme impiegate a mille euro, eppure credo che soprattutto alla loro azione politica dobbiamo la nostra capacità di pensare e agire politicamente; e conosco anche molti, i cui genitori o parenti 65 anni fa hanno dato una manina a deportare ebrei e quant’altro, oggi e da decenni impegnati in primissima linea a difendere “la democrazia, la costituzione, la dignità e il salario dei lavoratori, l’ambiente, la pace”: e anche questi, e particolarmente questi, mi piace avere come compagni di strada, perché la democrazia è l’arte del cambiare pensiero, è rivoluzione nel senso dell’aratro che sconvolge la terra, è cammino in avanti e non “provenienza”. Se la giovane capolista laziale saprà guardare avanti e trainare avanti coloro che le accorderanno fiducia, non sarà un’oca giuliva ma una donna politica. Se no, non dipenderà dai suoi ascendenti, ma solo da lei. Certo ha scelto di stare nel Partito di Veltroni, e questo può sembrare un inizio non buono: ma anche qui attenti! Quando si fa politica credo si debba innanzi tutto evitare di scambiare i desideri con la realtà, e scansare come il peggior peccato la tentazione di raccontare la realtà secondo i desideri. Il PD ha fatto una scelta dai termini assai ben definiti, che incontrano la condivisione di molti, moltissimi cittadini per bene, lavoratori, anche disagiati e pieni di problemi. Credo anzi che questa sia la sua componente maggioritaria, come già lo fu del PCI, del PDS, dei DS. Personalmente non ho mai aderito a quelle formazioni, perché ne trovavo la pratica politica molto concentrata –forse giustamente– sulla gestione dell’ordinario, e poco impegnata a progettare modelli sociali, culturali e politici sconvolgenti, nel senso che indicavo sopra (evito la parolaccia “rivoluzionari” perché effettivamente a rischio di ambiguità). Spererei che il distacco del PD verso l’orizzonte moderato non comportasse il puro e semplice trasferimento delle parole d’ordine della tradizione “comunista” alle formazioni politiche collocate a sinistra del PD. La nostalgia per il Centrosinistra che aleggia nei commenti di autorevoli rappresentanti di quelle formazioni non mi appare un buon segnale: io sarei più incline a vedere come una buona cosa il chiarimento avvenuto con la fine dell’esperienza di Prodi, e mi armerei per una lunga battaglia di cultura e di progetto di società, per divenire nel medio termine polo di attrazione verso il PD rispetto al Centro moderato, proprio in virtù della qualità e della operabilità delle nuove proposte elaborate. In questo senso trovo utile, anzi indispensabile, un voto che dia forza e coraggio alle formazioni della Sinistra lasciate dal PD. Mi sembra però necessario avere in mente alcuni punti importanti: primo fra tutti il cambiamento di linguaggio e di comunicazione rispetto alle altre forze politiche, senza soggezione e senza paura della verità. Non sono d’accordo, e ne abbiamo parlato, sul giudizio di Alessi nei confronti del governo Prodi. Credo che sia stato il miglior governo della storia repubblicana per qualità delle persone e per azione svolta. Non posso dilungarmi a motivare questo giudizio, ma credo che sarebbe necessario proporlo e spiegare agli elettori che chi dice il contrario –appunto tutta la Destra– ha paura dei buoni risultati degli altri. Da questo riconoscimento dovrebbe partire l’enunciazione dei motivi di insoddisfazione che su alcuni punti fondamentali permangono contro la sua azione (il miglior governo della storia repubblicana non è per questo il miglior governo possibile), e l’indicazione di un nuovo progetto politico che passi dal ‘buon governo’ dell’esistente al disegno di una nuova società. Poi c’è il problema dell’etica politica, che forse possiamo più semplicemente indicare come problema della legalità: non si tratta di candidare o meno inquisiti o condannati; si tratta di prendere consapevolezza che la legalità in politica è un problema che trascende le persone, per includere le scelte che si traducono in leggi, provvedimenti, procedimenti, risultati. La legalità riguarda l’uso delle risorse umane, materiali, ambientali, economiche: un uso che non può contentarsi di essere al sicuro dalle inchieste della magistratura, ma che dal nostro punto di vista deve trovare il suo discrimine nel costituire o meno le condizioni dell’equilibrio personale, sociale, ambientale, economico. Oltre le garanzie minime –sulle quali si deve sempre vigilare–, guardando non al diritto alla sopravvivenza ma al diritto alla vita, alla pienezza, alla felicità, alla pace, a un mondo “dove sia bello lavorare e far l’amore, dove il morire sia volontà di dio”, come dicevano i Gufi tanti anni fa. E allora, ecco un altro punto: il progetto. Restare vigili ma guardare lontano, a una realtà da costruire che sia radicalmente altra dalla presente in tutti i suoi aspetti perché giustizia, equità, libertà, pace non possono abitare nello stesso luogo dove è cresciuta la diversità, la sperequazione, la violenza, la sopraffazione. Cambiare i modelli mentali, ed elaborarne altri che siano in grado di costituire attrazione forte e sconvolgente anche per coloro che oggi si sono adeguati al primato dell’avere, del denaro, del potere; di costituire attrazione per il valore aggiunto di felicità, di ‘vita’ che contengono. Non lasciamo il fondamentale dibattito sulla vita alla miseria dei bilancini sull’età degli embrioni, sui diritti rappresentati da terzi estranei, su definizioni assiomatiche che ad altro non servono che a nutrire la nostalgia di repressione, così rassicurante per chi sta solo davanti alla propria coscienza immacolata (?). Occupiamoci della vita di noi stessi e degli altri considerata nel suo svolgersi, lasciando a teologi e scienziati di occuparsi della vita “naturale” (così di rado da loro accostata alla “naturale” felicità). Mettiamo nel nostro programma la lotta alla disperazione esistenziale, alla solitudine, al così drammatico aborto della dignità, della stima di sé, della speranza. Cerchiamo di indicare, assieme alle migliori condizioni di vita, le migliori ragioni per desiderarla la vita. Il resto è ‘deja-vu’.


Luigi totaro

Luigi totaro