Già indispettiti per aver assistito all’ennesimo strazio della par condicio perpetrato dalla larga banda dei gazzettieri televisivi e cartacei alla ricerca del padrone perduto o alla ricerca del padrone prossimo venturo, dopo aver bofonchiato a più riprese “inutile sarai te … popo’ di fava ingrata”, ci tocca vedere uno dei due gemelli veltrusconi (quello più simile ad una mozzarella) che presenta una topetta con la voce a trombetta come capolista laziale e ricercatrice (de che non lo dice) ventisettenne, che esordisce baiardamente ai microfoni dicendo in sintesi di essere orgogliosa di non aver fatto fino ad oggi politica, Uoltar la guarda tutto fiero. Ci pare di essere giunti al troppo-pieno: la politica che non si limita a generare l’antipolitica, ma se ne nutre e se ne bea. Magari – abbiamo pensato - lei lì ha un nonno minatore licenziato per rappresaglia sindacale, magari ha una madre che lavora ancora in un ufficio a mille euro al mese, magari ha una famiglia che ha fatto sacrifici per farla studiare e magari per generazioni tutti costoro “hanno fatto politica” nel senso che hanno difeso la democrazia, la costituzione, la dignità ed il salario dei lavoratori, l’ambiente, la pace, si sono impegnati per far diventare civile un cazzo di paese dove solo circa 60 anni fa le donne non votavano e 65 anni fa si deportavano gli ebrei, dove appena qualche anno prima che questa accademica oca giuliva venisse al mondo l’aborto era un reato (e di aborto clandestino si moriva, anche qui) un paese dove 35 anni fa i malati di mente erano chiusi in lager vergognosi, e dove ci fu da sciabatticare per mantenere in vigore il divorzio appena introdotto nel nostro ordinamento, battendo un clericalismo (ingazzurito al pari di quanto sia ai nostri giorni) che lo voleva cassare. Tutta roba prodotta dalla politica (buona), dall'essere di sinistra e democratici di molti, dall’impegno, generoso, volontario di migliaia, milioni di persone che facendo politica hanno cucinato il piatto della civile convivenza sul quale la ridanciana giovinetta ha sputato a telecamere accese mentre si accingeva a mangiarci. Ci convinciamo ancora di più che per avere chanche di vivere in una società più giusta, più solidale, più pacifica, più in equilibrio con la natura, più colta, occorre che tanta gente inizi a far politica a discutere quotidianamente del futuro suo e del mondo, mantenendo la propria testa, pensando alle peculiarità, alle diversità come dei valori, come il sale della democrazia, delegando il meno possibile e lasciando il compito osannare capi intercambiabili uniti nella banalità ad altri, ricominciando o cominciando ad ascoltare una musica che chi è di sinistra ha dentro, citando Finardi, “la musica ribelle, che ti vibra nelle ossa, che ti entra nella pelle, che ti dice di uscire, che ti urla di cambiare, di mollare le menate e di metterti a lottare”, perché coi tempi che corrono ad essere pacati e carini si rischia di essere carinamente sodomizzati. Ed a proposito di canzoni ce n’era un’altra ancor più datata (non bellissima ma significativa) cantata da una donna che iniziava proprio con la frase “Io mi interesso di politica …” Ci torna a mente e ci pare ancora enormemente più nuova dello starnazzante nuovismo appena visto all’opera, e che ci pare smidollato, ragnateloso e già vecchio come il cuccù.
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