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Controcopertina: Dopo l'articolo di Mario Tozzi si apre un dibattitto di qualità sul Parco Interventi: Umberto Mazzantini, assessore regionale Marco Betti, On. Renzo Moschini

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : sabato, 09 febbraio 2008

L'intervento di Mario Tozzi sullo sviluppo sostenibile e i parchi ospitato da Greenreport e Elbareport ha sollevato un interessante dibattito di alto livello (se si escludono le disinformate interpretazioni di qualche politico di centro-destra e di centro-sinistra dell'Arcipelago...). Finalmente non solo il prevebile gorillaio ma una discussione sulla qualità del nostro ambiente e della nostra economia. Dopo le note critiche ma avvertite di Valeria Tallinucci, vi proponiamo gli interventi, pubblicati oggi su www.grenreport.it, di Umberto Mazzantini, dell'Assessore ai Parchi della Regione Toscana Marco Betti e di Renzo Moschini, che dirige l'Osservatorio dei Parchi Europei di Federparchi e cura il coordinamento di "ToscanaParchi", organo di Federparchi Toscana. Il turismo e la sostenibilità: dalle Seychelles all'Arcipelago toscano Oggi il Sole 24 Ore, riprendendo dati della World Tourism Organization dell'Onu, dell'Unep e di altre agenzie internazionali, riecheggia i temi della sostenibilità e dell'impatto del turismo nei luoghi di vacanza, con l'esempio particolare nelle isole Seychelles, e sulle ricadute su ambiente e reale qualità della vita degli abitanti. Un tema che greenreport ha affrontato più volte e che torna anche nelle polemiche odierne scatenate dall'intervento sul nostro giornale di Mario Tozzi che mette in dubbio il concetto stesso di sviluppo sostenibile. Una riflessione "alta" che, come quasi sempre accade, è stata declinata localmente, soprattutto nell'Arcipelago toscano, dove Tozzi presiede il parco nazionale, in un ritorno all'indietro, verso le candele, il tram a cavalli e l'autarchia. E' strano che la difesa delle due parole "sviluppo sostenibile" venga magari dagli stessi ambienti politici che si oppongono alla tramvia a Firenze o all'Area marina protetta all'Elba e al Giglio o a regole di gestione sostenibile a Giannutri, o agli impianti di compostaggio in Campania. Lo stesso quotidiano confindustriale spiega che senza limiti, globali e locali, il turismo finisce per soffocare se stesso sviluppandosi così tanto da rendere l'esotico usuale, la bellezza merce di poco conto, le risorse ambientali preda per il cemento e il global warming. Eppure gli stessi che si scandalizzano perché Tozzi considera superato il binomio sviluppo e sostenibilità, i nuovi esegeti dello "sviluppo sostenibile" non ne vogliono sentir parlare di cose come la Convenzione di Barcellona, le direttive europee, le richieste di Onu, Iucn che chiedono di fare quello che è indispensabile per dare una base a quel tipo di sviluppo: i parchi a terra e le are marine protette, la riduzione di un uso consumistico della natura e delle sue risorse non rinnovabili. Perché lo "sviluppo sostenibile" non vuol dire che si può continuare a sviluppare in eterno, vuol dire che lo sviluppo (anche e soprattutto quello turistico basato sui beni ambientali e paesaggistici) deve tener conto della disponibilità e finitezza di cose come la biodiversità, l'acqua, i suolo, il mare e le coste e su un bene "immateriale" ma essenziale: il paesaggio e il concetto di bellezza del paesaggio che gli esseri umani si aspettano di trovare in luogo turistico non ridotto a villaggio turistico artificiale. Lo "sviluppo sostenibile" è cosa diversa dalla crescita continua "ma più attenta" che credono molti. Senza scomodare "i limiti dello sviluppo " del Club di Roma del lontano 1972, basterebbe leggere la definizione data, nel 1987, dello sviluppo sostenibile dalla sua "inventrice", Gro Harem Burtland, la presidente norvegese della World Commision on. Environment and Development dell'Onu: «Uno sviluppo che risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie». Una visione forse un po' troppo antropocentrica (ma 20 anni fa il cambiamento climatico e la sensazione di fine imminente delle risorse energetiche fossili erano ancora da venire) che successivamente Herman Daly ha rivisto con il concetto di equilibrio sostenibile: «Un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende». Ma c'è anche un'altra definizione di sviluppo sostenibile che si attaglia meglio all'economia turistica: «Lo sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi naturale, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi». Ma mentre la World Tourism Organization, presieduta dall'italiano Francesco Frangialli, indice per il 27 settembre una giornata mondiale del turismo che avrà per tema "Turismo, rispondere alla sfida del cambiamento climatico", noi guardiamo preoccupati dal Sole 24 Ore alle fosche previsioni per le Seychelles, ma non ci accorgiamo che le nostre isole minori hanno tassi di produzione di rifiuti eccezionali (una tonnellata e mezzo procapite annua a Capoliveri, 1,2 al Giglio, sopra una tonnellata in diversi comuni elbani), che fanno impallidire il record toscano raddoppiandolo, e percentuali di raccolta differenziata napoletane (tra il 4 e il 13%, con 3 comuni su 10 intorno al 20%). Non ci accorgiamo che proprio le isole minori italiane sono i posti dove si consuma più acqua potabile ed energia, "materie prime" quasi sempre importate e che spesso i comuni a vocazione turistica (soprattutto le isole minori) si distinguono per un bassissimo tasso di innovazione tecnologica collegata all'ambiente. Se l'impronta ecologica di un Italiano sul pianeta è di oltre due volte le risorse di cui dispone, probabilmente nei luoghi dove si fa turismo questa impronta, questo tasso di utilizzo delle risorse naturali (locali ed importate), raggiunge i tassi australiani e canadesi (4 volte) o quelli Usa (5 volte). Infatti, quando si ragiona di sviluppo sostenibile, non si tiene conto che si parla comunque della necessità di cambiare l'attuale sviluppo insostenibile, perché tutti i dati ci dicono che stiamo usando le risorse in 1,2 pianeti terra e che avremo bisogno di due pianeti entro il 2050. E non è che da questa sfida, come ci ricorda la Wto, qualcuno può sentirsi escluso. Lo sviluppo sostenibile riguarda soprattutto i Paesi che si stanno sviluppando, per chi, come noi ha già superato la soglia della sostenibilità, occorre mutare la natura dello sviluppo, puntare sulla qualità e non sulla quantità, sulla qualità della vita che non vuol dire rinunciare, ma usare meglio e più equamente le risorse, non dissiparle e salvaguardarle perché siano il fondamento del futuro (proprio come diceva la Burtland). Magari iniziando dai rifiuti, dall'acqua, dalla difesa dell'ambiente e del mare, dal rispetto per leggi, direttive, accordi internazionali, limiti ed obblighi, senza i quali parlare di "sostenibilità" è semplicemente una presa in giro. Umberto Mazzantini L´assessore Betti sui parchi: la politica deve applicare la scienza No, «gli uomini non amano il concetto di limite», come sostiene Mario Tozzi nel suo intervento di mercoledì 6 febbraio scorso. «Anzi si illudono che non toccherà mai a loro incassare il colpo, ma sempre a qualcun altro, che in ogni caso, sempre umano sarà». E se si prende come vero questo assunto, viene spontaneo da chiedersi in quali aree, su quali porzioni di territorio debbano essere eretti i bastioni che proteggano dalla nostra ingordigia. E naturalmente in questa ottica il ruolo dei parchi e delle aree protette si profila come insostituibile. Ma i parchi sono inseriti (talvolta innestati) in un territorio, un territorio che brulica di attività economiche, o semplicemente di esseri umani che, per definizione, appunto "non amano il concetto di limite". Sta quindi agli amministratori percorrere la tormentata strada del compromesso nella gestione delle aree protette. Nell'ottica di stimolare un dibattito (che possa magari sfociare in una nuova e migliore legge toscana sui parchi), abbiamo chiesto all' assessore regionale alle aree protette, Marco Betti, quale sia la sua posizione a riguardo. Nel dibattito di questi mesi in Toscana, ritiene che il tema dei parchi e delle aree protette abbia avuto il rilievo adeguato, o avrebbe meritato una maggiore attenzione? «C'è sempre necessità di maggiore attenzione sul tema. E' un punto centrale delle politiche di gestione del territorio, e l'attenzione che riceve non è mai sufficiente, secondo me. Anche perchè, voglio chiarirlo da subito, sono d'accordo con quanto afferma Tozzi sull'ossimoro rappresentato dalla nozione di "sviluppo sostenibile", che è appunto un ossimoro, una contraddizione in termini. La politica delle aree protette è la tutela di un patrimonio (e non mi riferisco "solo" alla biodiversità) attraverso cui passa il futuro: ogni giorno scompaiono specie animali e vegetali, e questo mi sembra un esempio lampante dell'impoverimento del pianeta. La nostra specie è pure destinata a scomparire, e conviene cercare di far sì che ciò avvenga il più tardi possibile: ciò passa anche attraverso la gestione delle aree protette. Come amministratore, però, il mio compito è di fornire una interpretazione delle necessità scientifiche, altrimenti nessun parco potrebbe essere istituito: ciò significa che la Regione deve essere soggetto delle scelte, e affrontare i conseguenti conflitti». Da tempo – prima con l'assessore Artusa poi con lei, dopo il suo insediamento – si parla di una nuova legge regionale toscana sui parchi. Ritiene che essa possa servire? E soprattutto, a cosa deve puntare? «La nuova legge è attualmente ferma negli uffici legali della Regione, per le necessarie valutazioni e approfondimenti. Gli obiettivi sono in sintonia con quanto affermato precedentemente: tutelare un patrimonio attraverso cui passa il futuro della nostra specie e di tutte le altre specie animali e vegetali. Obiettivi di vasta scala e di ampia prospettiva, peraltro resi più difficili dall'ormai cronico problema del poco tempo a disposizione per agire. Comunque, anche in assenza di una nuova legge, continua l'implementazione del sistema dei parchi toscani: il prossimo passo è la creazione di una nuova area protetta (il padule di Bientina), dove paesaggio, cultura, archeologia, vadano ad arricchire gli aspetti ambientali». Come giudica l'impegno e la presenza dei parchi e delle aree protette toscane, specialmente in riferimento alle complesse vicende ambientali nella nostra regione ma anche al territorio nazionale? «I tre parchi nazionali proseguono nel solco dell'impegno che Stato e Regione hanno assunto a tutela del patrimonio ambientale. Così come le altre aree protette, necessitano del nostro apporto e appoggio politico, per crescere. Voglio però dare il mio contributo riguardo alla questione Giannutri, che ha acquisito una forte valenza simbolica: da una parte comprendo le esigenze economiche della popolazione, dall'altra le necessità di protezione, che sono ovviamente indicate dallo scienziato, e non certo dal politico. Ma la scienza da chi deve essere valutata e "applicata", se non dalla politica? Si pensi al noto romanzo "I viaggi di Gulliver": durante le sue peregrinazioni, il personaggio creato da J. Swift s'imbatte nell'isola di Laputa, un isola che resta sospesa nell'aria grazie a potenti magneti. I suoi abitanti sono tutti scienziati, filosofi, matematici: ma su Laputa ogni filosofo e ogni scienziato pensa solo alla sua scienza e alla sua filosofia, senza minimamente occuparsi dei problemi quotidiani. Il rischio, nella gestione delle aree protette, è di fare lo stesso errore». Riccardo Mostardini La gestione di un parco deve essere un giusto mix tra istituzioni e scienza Dopo le cose dette a Firenze alla presentazione di Uomini e Lupi e le dichiarazioni rilasciate a greenreport, Tozzi ha fatto bene a chiarire ulteriormente il suo pensiero sul ruolo dei parchi oggi. Tanto più che la crisi di governo ha fatto saltare gli impegni per la preparazione della terza Conferenza nazionale che avrebbe dovuto occuparsi proprio di questo. Non solo, ma dovendosi ora in Toscana rimettere mano alla legge regionale n.49 del 1995 è indispensabile che siano ben chiare le coordinate di fondo di una riflessione che non ha e non deve avere nulla di burocratico a cominciare dal coinvolgimento delle istituzioni, associazioni ed esperti. Tozzi ricorda che la sua opinione è risultata per molti versi 'fuori dal coro'. Non lo è sicuramente l'affermazione che 'nei parchi devono tornare al centro la salvaguardia e la protezione che hanno basi scientifiche'. Le quali essendo 'oggettive si differenziano dalle politiche cosiddette 'ambientaliste', che hanno comunque una impostazione politica, soggettiva. 'Altre sono le evidenze scientifiche ed ecologiche, e le scelte che ne conseguono'. E qui il ragionamento appare assai meno scontato. Che le politiche di un parco debbano avere una robusta base scientifica (ma questo sia pure in misura diversa vale oggi per tutte le istituzioni) è scritto d'altronde nella stessa legge quadro che prevedeva la Carta della natura che non ha visto però mai la luce nonostante i molti studi avviati. La politica – dice Tozzi - non può disattendere l'oggettività delle scelte scientifiche. Una è affidabile l'altra lo è molto meno perché portata a decidere in base ad interessi, sollecitazioni che poco si preoccupano delle 'ragioni' scientifiche. Qui c'è qualcosa che non convince del tutto sia nella raffigurazione dei 'due' ruoli ma soprattutto nel rapporto che deve esserci tra i due momenti che non sono uno di serie A e uno di serie B. Come è stato scritto recentemente 'ciò che è venuto meno negli ultimi decenni non è tanto la fiducia tout court nella scienza o negli scienziati, quanto un'immagine di scienza neutrale e disinteressata a lungo coltivata in ambito pubblico'. Da questo punto di vista un esempio paradigmatico –anche per i parchi e le aree protette- è quello delle biotecnologie (i famigerati organismi geneticamente modificati)- dunque a loro asservita è considerata una minaccia al futuro dell'ambiente, distruzione della biodiversità, alla salute dell'uomo. Insomma sono molti gli esempi che mostrano un rapporto sempre più problematico tra exspertise scientifica, decisione politica e forme di rappresentanza democratica. Nel parco - ossia un territorio delineato non in base a confini amministrativi ma 'ambientali' per quanto imprecisi o imperfetti - questa problematicità è acuita proprio in quanto servono più conoscenze scientifiche che rendono a loro volta più complesse e delicate le decisioni operative, di pianificazione, di progettazione. Nella raffigurazione di Tozzi vi è il rischio –a me sembra- di assegnare alla scienza una valutazione inappellabile nella sua 'oggettività' che a chi amministra non resterebbe che recepire senza sgarrare sotto la spinta di interessi che evidentemente non avrebbero effetti sulla scienza e sugli scienziati. Ma non occorre leggere il libro di Al Gore per sapere che non è così. Quello degli Ogm è infatti solo uno dei tanti esempi in cui la 'scienza' può legare l'asino dove più aggrada a chi paga. Torna quindi il ruolo delle istituzioni e quindi della politica che -ha ragione Tozzi- non deve scadere a quei livelli indecorosi che hanno visto commissariare per 5 anni il suo parco. E' vero che ogni cambio di maggioranze politiche non dovrebbe ogni volta avere effetti perversi sulla gestione di un parco anche se noi sappiamo che un conto è stata la politica per i parchi di Clinton-Gore e ben altra cosa quella di Bush. D'altra parte se tutto fosse riducibile alla oggettività della scienza non si capirebbe perché la gestione di un parco dovrebbe essere affidata ad organismo in cui prevalenti sono le rappresentanze istituzionali. Credo che al riguardo ben si attagli lo slogan: la scienza, l'industria e la società scoprono, applicano, decidono'. La complessità della realtà chiede di più alla scienza ma anche alle istituzioni che devono riuscire a trovare specialmente nei parchi quel giusto mix che non è dato da chi traccia il solco e chi (poi) lo difende secondo uno slogan d'altri tempi. Qui si toccano anche aspetti e profili di cui dovremo discutere anche in Toscana con la nuova legge. Su tutti io credo vada ormai affrontato il problema dei due piani previsti sia dalla legge quadro che dalle leggi regionali compresa la nostra. Due piani sono troppi specie se si considera quanto sia complicato farne anche solo uno. Tanto è vero che molti non li hanno fatti e tra quelli che l'hanno fatto quello socio-economico è generalmente stato rimandato a babbo morto. Se poi teniamo conto che, come abbiamo sentito nel dibattito fiorentino c'è chi ritiene –come Fausto Giovanelli presidente del parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano- che la pianificazione se non è morta sta comunque malissimo, allora è bene che registriamo seriamente i nostri strumenti fondamentali di governo. E dobbiamo farlo non solo per rendere meno complicate le nostre azioni ma anche perché è oggi concettualmente sbagliato separare con i due piani temi e problemi che sono inestricabilmente intrecciati. Scelte e politiche ambientali non sono separabili; la protezione della biodiversità dipende anche dal tipo di politiche agricole o della pesca che pratichiamo. Ecco perché non possiamo dislocarle in caselle diverse. La legge regionale dovrà affrontare molte altre questioni ma più d'una dipenderà da come risponderemo a quei quesiti di fondo che ci ha opportunamente riproposto anche Tozzi. Renzo Moschini Foto di Gian Mario Gentini (scattate durante le "Domeniche del Granito")


Gentini Isole Pianosa montecristo

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Gentini Vallebuia alta

Gentini Vallebuia alta

Gentini Caprile pietramurata

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