non sono un eletto del popolo, per sua fortuna. E non ho un’idea su come venir fuori dalla vicenda della casetta abusiva campese. Non credo necessario soffermarmi a manifestare il moto di umana simpatia per la famiglia coinvolta, e in questo senso a constatare ancora una volta la validità assoluta della massima latina che dice “summum ius summa iniuria” (l’applicazione eccessivamente rigorosa delle norme di giustizia si traduce nel tradimento della giustizia). Ma se riusciamo a esercitare un ragionamento critico, si devono subito distinguere diversi “nodi”. Si è detto di quello ‘personale’, che sta sempre al primo posto. Ma ‘separato’ questo per un momento, i termini ‘oggettivi’ si fanno più chiari. A monte sta la difficoltà di trovare casa da parte di una famiglia che pur appartiene a una fascia sociale che possiamo definire “normale”, con normali difficoltà di esistenza. Questo significa che all’Elba, dove le case superano largamente per numero gli abitanti, non è possibile alloggiare i cittadini residenti. La nostra comunità, insomma, ha venduto la sua terra e la sua pace, lasciando alcuni, molti suoi membri senza la possibilità di provvedere a una necessità vitale come l’abitazione. Nasce di qui la tentazione o la necessità di arrangiarsi. La casetta costruita con sacrificio, fatica e amore resta comunque una casetta abusiva: sacrificio, fatica, amore e simpatia non bastano a renderla ‘legale’. Le leggi non sono fatte caso per caso (‘ad personam’, si diceva qualche tempo fa, con riferimento a situazioni certo abissalmente differenti e assai meno ‘simpatetiche’), ed è molto bene così. Un giudice ha interpretato la legge con rispetto prevalente della situazione personale (il caso di necessità); un altro ha fatto prevalere il diritto generale (una casa è abusiva nei confronti di tutta la comunità). Il terzo giudice, a quanto si capisce, ha dato ragione al secondo. Anche qui il problema oggettivo non è da poco: interesse particolare e interesse generale in una società ordinata devono coincidere. Se non lo fanno, l’ingiustizia è a monte: o perché il ‘particolare’ viola coscientemente l’interesse generale; o perché più o meno consapevolmente la società costringe –come in questo caso– il cittadino nel ‘particolare’, in un angolo dove nascondersi per sopravvivere. Dunque il problema non è giuridico né amministrativo, ma politico, cioè generale. Tu invochi il problema delle case PEEP. Ciò che dici e anche quello che non dici riconduce ancora all’aspetto centrale del nostro ragionamento. Sono state costruite case PEEP, cioè rispondenti all’esigenza abitativa di cittadini residenti nei Comuni; ma poi le si vedono vuote per gran parte dell’anno, e vive d’estate, guarda caso. Credo che se si esercitasse un controllo sarebbe difficile trovare scorrettezze nelle assegnazioni: assai più facile sarebbe verificare che assegnatari e utilizzatori raramente coincidono (poi ci sono i casi eccezionali, ma come si sa confermano le regole). Di fatto un’opera pubblica –ché tali sono le case popolari– diviene un “privilegio”, una “lex privata”; e il vantaggio particolare va contro le necessità particolari di altri –come gli sfortunati protagonisti della vicenda campese– e per ciò stesso contro l’ordine generale. Dunque il problema non è giuridico né amministrativo, ma politico, cioè generale. Il Sindaco giustamente si trova innanzi delle persone che hanno un problema, prima ancora che il “problema in sé”, e pensa alle persone. Ci auguriamo di cuore che sia possibile trovare una soluzione soddisfacente nel provvisorio e poi definitivamente. Il problema rimane: non è la “durezza” della legge “con una modesta famiglia per un modesto intervento” (“dura lex, sed lex” –dicevano i latini–); e neppure quello delle deroghe che certo ci sarebbero piaciute assai più nel caso della famiglia campese che non in quello dei costruttori di ‘ecomostri’ e di ‘ecomostriciattoli’. Forse dobbiamo cominciare a riflettere sull’identificazione della “casa” come “proprietà”, e quindi come capitale investito e destinato a una rendita. Forse è l’ora di capire che non ha senso comune fondare un’economia sulla rendita fondiaria nella sua versione ultima, che è appunto quella edilizia. La “casa” è assai più di una proprietà e di una rendita. E’ un bene d’uso vitale, costante, assiduo, capace di segnare indelebilmente la qualità della vita. Nessuno si sogna di pensare che l’automobile possa essere messa a reddito: è un “mezzo” che costa e basta, anche se è assai utile; esserne proprietari è una necessità, ma si potrebbe anche fare a meno di esserlo se solo si avesse ugualmente la disponibilità del “mezzo” o si trovassero più comodi mezzi alternativi. Nessuno pensa di comprare un aereo per spostarsi ogni tanto su grandi distanze. La “casa” è più utile (più “utilizzata”) di auto e aerei, ma è ugualmente un “mezzo” fondamentale per organizzare la vita personale e di relazione. Ridurla a “rendita” è una prospettiva angusta, e finisce per costituire un ostacolo a chi ha necessità di possederla (che non vuol dire di averne la proprietà) per vivere, per produrre, per partecipare alla crescita sociale senza sentirsi un peso, un problema; senza doversi umiliare perché i mutui sono cresciuti e non sono più sostenibili, come avviene ormai in tutto il mondo dietro la scia degli Stati Uniti. La soluzione è che ognuno si compri un pezzetto di terra e si costruisca una casetta “spontanea”? Credo di no. Se l’emergenza diventa regola allora davvero qualcuno deve prendersi delle responsabilità. Ma non penso che possano essere gettate sulle spalle degli amministratori o dei giudici, e tanto meno dei cittadini in difficoltà. Le responsabilità non sono sempre e solo di altri. E la “partecipazione” non può essere sprecata nei dettagli: è necessario che sui grandi temi del modello di sviluppo delle società, a livello generale ma più ancora a livello locale, si apra un dibattito che ci tiri fuori dalle secche di prospettive miopi, immobilistiche e conservatrici. Sindaco, Prefetto e giudici si adopreranno per soluzioni immediate; ma tutti sentiamoci impegnati a affrontare i problemi di tutti: questa è la “Politica”.
Casa da abbattere 1