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A Sciambere del caffè amaro

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 03 gennaio 2008

Quello che consumiamo in un ristorante portoferraiese (di cui non daremo alcun riferimento utile ad individuarlo in maniera voluta) dovrebbe essere il pranzo rapido e leggero di chi deve continuare a lavorare per il resto della giornata. La partenza non è delle più felici: veniamo invitati a sedere al centro del locale in un area interessata dal passaggio del personale: chiediamo se sia possibile sedere in posizione un po' più defilata magari dividendo uno dei tre tavoli doppi (liberi e senza prenotazione) già apparecchiati. Il gestore ci dice che non può perché ".. se arrivassero altri gruppi di 5 o 6 persone ...". Evvabbé portiamo pazienza, anche se di solito una richiesta del genere (non dimentichiamo che in Italia il "pane e coperto" indica che l'apparecchiatura la si paga a parte) di solito viene cortesemente accolta. Quasi subito si presenta chi prende la comanda: ordiniamo due secondi piatti (due tranci di pesce spada alla griglia) e due contorni (patate fritte e verdura grigliata) mezzo litro di chianti (imbottigliato, qualità media) mezza minerale. In tempi decenti ci viene portato quanto richiesto e anche la qualità del cibo e della preparazione sono accettabili anche se il pesce spada è un largo (ma non spesso) trancio diviso in due parti (150 gg cotti forse a testa). Durante la consumazione siamo comunque costretti a chiamare il cameriere poiché in tavola non c'è il sale e ad assistere una "rimbalzata" del gestore ai suoi dipendenti, coram populi ed a voce alta che non è il massimo della gradevolezza. Il peggio arriva, col cafè che non arriva. Quando ci portano via i piatti ne ordiniamo due, dei quali uno al vetro e corretto (una comanda difficilmente dimenticabile o confondibile con quella di altri tavoli), che dobbiamo però reiterare educatamente dopo oltre 15 minuti alla stessa persona, quando il ristorante ha preso a svuotarsi, ma evidentemente le bacche di "coffea arabica" del nostro caffé o forse l'Anice Stellato della sambuca sono ancora da cogliere, rispettivamente in una fazenda brasileira ed in una macchia italica, perché oltre dieci minuti dopo siamo sempre là ad aspettare Godot. Decidiamo a quel punto di affrettare i tempi, rinunciando al caffé, ci rivestiamo e andiamo alla cassa: rapido conteggio del gestore che batte sul registratore: i due secondi, i contorni il vino e l'acqua. Poi alza gli occhi interrogativi: "... e il caffè?". Nell'imo cor l'anima ferajese più greppa prende il sopravvento: "Il caffé - rispondiamo - se me lo portavi, era capace che lo bevevo anco!" 40 euro una cifra non esagerata ma neppure esigua visto quello che abbiamo consumato, dichiaratamente esosa per la qualità del servizio. Ci poniamo una domanda: visto che su questo scoglio direttamente o meno tutti campiamo della qualità di accoglienza del prossimo, sarebbe fuori del mondo sperare che, senza reprimere i discoli ma premiando i migliori, associazioni di categoria e dei consumatori, l'APT etc. promuovano la concessione di marchi qualità "graduati" da rivedere anno per anno?


tazza di caffè

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