Quasi tre ore filate nella sala a piano terra del Centro de Laugier, bella perché ricondotta alla sua nudità rinascimentale, molto più "comunicativa" del vellutato spazio soprastante, una sala piena di gente attenta che ha "bevuto" la performance di Oliviero Beha, un po' reportage raccontato, un po' affabulazione, a tratti lezione. I mali politici, o meglio della non-politica, le miserie morali d'Italia, i nuovi deteriori consociativismi martellati, massacrati, esemplificati e ridicolizzati, ma senza spazio per l'autocompiacimento. Tutto con l'amarezza di fondo del (bravo) giornalista marginalizzato perché ha il coraggio di sputare alle stelle e chiamare "camerieri" molti suoi colleghi, perché non è neppure così "carino" da ottenere la licenza di critico oppositore ufficiale di Sua Maestà il regime, perché quello che scrive non viene sparato sul mercato in funzione di aprìpista della discesa in campo della casta prossima ventura, del nuovo Messia di Montezemolo, che scaccerà i vecchi mercanti dal tempio così che possano stabilirvisi i suoi, tra gli osanna della sua marmellata centrista. Beha al De Lugier ha presentato il suo libro "Italiopoli" catturando l'attenzione rispettosa di chi condivideva solo una parte delle sue idee e perfino quella di coloro che non le condividevano affatto. Per un pomeriggio Portoferraio è stata un po' meno provinciale, un po' meno "morta gora", confermando segnali incoraggianti che giungono da una (per altri versi criticabile) amministrazione, sul fronte della cultura, dove si comincia (nel caso con la collaborazione de "Il Libraio) a fare qualcosa di non banale.
beha corta