Torna indietro

A Sciambere di un morto che non farà audience

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 07 dicembre 2007

A volte il confine che separa la vita dalla morte è legato a casualità che non riusciamo a spiegarci; Antonio Schiavone aveva finito il suo turno di lavoro in acciaieria, ma chi doveva dargli il cambio non era arrivato e lui era rimasto a fare straordinari. Del resto quando a casa hai moglie e tre figli piccoli che ti aspettano anche pochi euro da aggiungere al magro stipendio di un metalmeccanico certamente non si buttano via. Ma il destino ha voluto che una perdita di olio idraulico da un flessibile dell’impianto causasse un incendio che ha ucciso Antonio, ridotto in fin di vita altri sei operai quasi totalmente carbonizzati e ferito in maniera seria altri tre lavoratori Un incendio grave, ma non tragico come questo, aveva già colpito lo stesso complesso industriale pochi anni fa, ma nonostante questo precedente gli operai intervenuti prontamente durante questa tragedia per soccorrere i colleghi hanno trovato idranti ed estintori non funzionanti; lo stabilimento appartenente alla società ThyssenKrupp è in smantellamento e molti hanno testimoniato in queste ore che i controlli relativi alla sicurezza erano oramai quasi nulli e comunque anche le segnalazioni degli operai, molti dei quali assunti con contratti a tempo determinato e quindi certamente non interessati per ovvii e facilmente comprensibili motivi ad attirare su di loro troppe attenzioni, si erano quasi azzerate. In Italia ogni anno perdono la vita in incidenti sul lavoro circa 1500 persone, in media 4 persone al giorno; difficilmente queste morti raggiungono le prime pagine dei giornali; non parliamo dei telegiornali che si soffermano sui particolari più macabri e scabrosi di un fatto di cronaca nera per mesi, ma che infilano svogliatamente le notizie delle morti sul lavoro fra le previsioni del tempo ed i servizi sui gossip riguardanti una qualche velina o un pupillo reale. Tanti altri lavoratori subiscono infortuni gravi che portano in molti casi a dolorosi percorsi riabilitativi, all’instaurarsi nei loro organismi di malattie croniche, a tristi amputazioni . Leggi ce ne sono e ce ne sono sempre state, ma in questa materia quelle che dovrebbero essere dure condanne nei confronti dei responsabili delle carenze e delle omissioni alla causa degli incidenti, sono rarità e spesso tutto si sana con multe, sanzioni pecuniarie , prescrizioni , insabbiamenti e tutte quelle forme di fuga dalla giustizia in cui il genio italico tristemente si esalta; in questo campo il famoso motto “la legge è uguale per tutti” è un’utopia . In questo momento abbraccio, purtroppo solo simbolicamente, la moglie di quell’operaio ed i suoi figlioli; la vita per loro, ed una ha solo due mesi di vita, si fa ripida, piena di dubbi e con poche certezze. Lo so perché ci sono passato anch’io quando avevo otto anni, mio fratello 14 e la nostra mamma era ancora una giovane donna; era (e quel giorno per me è diventato il più brutto del calendario prima che lo fosse per il popolo cileno e poi dopo anche per quello statunitense) l’11 settembre di quasi quarant’anni fa. Speriamo che chi morì allora, chi è morto dopo e chi muore ancora oggi sul lavoro almeno permetta ad altri lavoratori di godere di ambienti di lavoro più salubri e sicuri, di norme di sicurezza più severe e più puntualmente osservate dalle imprese, ma anche di controlli più di sostanza e meno di forma da parte di coloro che sono preposti a questa attività. Sarebbe paradossale che invece di esportare buone leggi e norme in materia di lavoro a chi si trova in condizioni peggiori delle nostre , fossimo noi, dopo anni di lunghe, difficili e contrastate battaglie per i diritti dei lavoratori, ad importare un modello peggiore; ho paura però che piano piano stiamo diventando tutti un po’ più “cinesi”. La vita è una e specialmente per chi non crede che ve ne possano essere altre “dietro l’angolo” ad aspettarci, morire giovani dovendo lasciare quello a cui si tiene di più, è una cosa ingiusta ed inspiegabile Guido Provenzali Carissimo Guido Il titolo che vedi sul tuo pezzo preesisteva, stavo alle prime righe del racconto dello stesso episodio, collegandolo con il ricordo di una strage che, proprio 100 anni fa colpì Portoferraio quando altri operai furono arsi vivi dallo scoppio di un altoforno, con la morte da lavoro, ingiusta come poche, a fare da tragico ponte tra mondi tanto diversi. Ma la posta elettronica mi ha recapitato, il tuo pezzo era così bello, diretto e vero che ho deciso di cederti lo spazio, ed il titolo.


campo di papaveri

campo di papaveri