L’intervento di Cristiano Adriani costituisce davvero un contributo significativo all’inizio di una discussione sul “Progetto della Sinistra” dopo la nascita del Partito Democratico. Vorrei svolgere anch’io alcune riflessioni, non in dissenso ma per articolare ulteriormente il dibattito. La partecipazione offre certo dati importanti: quelli delle Primarie, quelli della manifestazione romana del 20 ottobre, persino quelli della riunione portoferraiese di giovedì 8 novembre. Importanti e in certo senso confortanti, ma infinitamente minoritari rispetto al Popolo della TV dei ‘talk show’ –che si informa e si forma a casa sua, non partecipando di fatto proprio a nulla– e infinitamente minoritari rispetto al popolo delle ‘fiction’ e dei ‘reality show’, la vera arma di distruzione di massa cerebrale, che non addormenta: fulmina. Quattro o cinque milioni di persone che si scomodano per andare a dire qualcosa sono molte, e si può ben sperare che altrettante non si siano potute muovere, se no i numeri sarebbero anche più alti. Ma lo sappiamo già che coloro che hanno provveduto a liberarci di Berlusconi e della sua pessima corte sono più o meno la metà del popolo votante. Forse oggi –con il sistematico martellamento dei sondaggi (un po’ fiction, un po’ reality show)– questo può destare sorpresa, ma non un dato nuovo. In realtà un dato nuovo c’è, come dice Adriani: “La nascita del PD determina uno sconvolgimento totale nel quadro tradizionale dei partiti che hanno dato vita all’Unione”. Almeno come “dato”, come realtà effettiva; perché quello che oggi è diventato il PD era nell’aria da anni, se non da decenni, e rappresenta assai bene la parte prevalente della realtà politica italiana, da sempre: l’Italia è un Paese moderato, sensibile al richiamo della democrazia e dell’impegno sociale, purché sia garantito un equilibrio da istituzioni, siano esse interne o esterne allo Stato. Per la maggioranza degli italiani, da sempre, la condizione migliore è che ci sia qualcuno che si occupi della Cosa Pubblica, possibilmente salvaguardando le libertà fondamentali e proteggendola da disequilibri sociali: che ci sia una distribuzione ragionevole della ricchezza, che ci siano sufficienti garanzie per la salute, per l’istruzione, per il lavoro. E’ tutto scritto nella Costituzione. Compresa la famiglia, che è da sempre un potente strumento di disciplina sociale ed economica –dobbiamo ringraziare la famiglia se ancora oggi i “bamboccioni” se ne stanno buono buoni, e non sono per le strade col passamontagna e le armi che la disperazione è sempre pronta a fornire–. Compresa la Chiesa, anche se sembra parlare sempre meno della Buon Annuncio affidatole, e sempre più interviene –“opportune et importune”, come diceva san Paolo– a cercare di regolamentare i comportamenti quotidiani: poi ognuno perlopiù si regola come vuole, ma il meccanismo noto –norma, violazione della norma, possibilità del pentimento, possibilità del perdono– protegge in qualche modo dagli “eccessi”. Il PD è il rappresentante di quella maggioranza, e può ben aspirare a divenire maggioranza relativa del Paese, aggregando le altre forze democratiche e moderate attualmente disperse tanto nello schieramento del Centrosinistra che in quello del Centrodestra. L’operazione, sia chiaro, non ha niente a che vedere con il “Compromesso storico”, tanto è vero che chi allora quello impedì oggi lascia che questa si compia. Il “Compromesso storico” tentava di unire le basi rispettive del mondo cattolico e del mondo comunista contro un capitalismo ancora forte, sorretto da forze più o meno oscure interne e internazionali, ancora legate all’emergenza post bellica e alla disinvoltura che essa aveva consentito sul piano delle garanzie sociali e costituzionali. A suo modo era un argine al “piduismo” nelle sue componenti segrete e pubbliche. Oggi il contesto è completamente mutato: il capitalismo sta attraversando una crisi spaventosa, e l’antagonista storico –il comunismo sovietico– è morto e sepolto. Così il PD è quel che dice di essere: una forza che si candida a governare il Paese con moderazione, senza che si generino conflitti sociali, garantendo i principi fondamentali della Costituzione, assicurando un certo equilibrio economico, senza modificare improvvisamente gli assetti economici e produttivi, in attesa che passi la bufera: poi si vedrà, “ma anche no”. Il progetto prevede lo sfaldamento della cosiddetta Casa delle Libertà, la creazione di una Destra politica senza potere –svincolata com’è dalle forze economiche–, e di una Sinistra fuori dal potere. Lo schema è un po’ semplificato, ma credo non si allontani troppo dalla realtà immaginata. Di cosa farà la Destra senza potere non ci curiamo. Di cosa farà Sinistra fuori dal potere conviene proprio occuparsi da subito. Ma appunto, partendo dalla condizione nuova rispetto all’attuale, nella quale la Sinistra partecipa alla gestione del potere. E partendo dalla fatica di questa attuale partecipazione, di cui la manifestazione di Roma è testimonianza eloquente, e lo stillicidio dei voti al Senato misura la febbre. “Da qui l’obbligo per le tante sinistre sparse e per quei soggetti (partiti, movimenti, associazioni e singoli) di rimettersi in discussione, di avviare (e lo stiamo facendo) un progetto di riunificazione, sulla base di tempi e di modalità ancora da definire, che deve partire dal basso e deve essere incentrato sui contenuti, sulle idee, sulle cose da fare”, dice Adriani. Non so, non sono sicuro che il problema sia l’unità, un partito; mi piace di più l’idea di un progetto politico, come è stato detto, al quale ognuno contribuisca con la propria sensibilità e anche con la propria passione, in un confronto che non escluda davvero nessuno, e che approdi a risultati condivisi per raggiunta persuasione comune. Su questo progetto ci si potrà confrontare con le forze che gestiscono il potere e con la loro base. Non intendo dire che nella situazione nuova che si è determinata la Sinistra debba ritagliarsi il compito di costituire la “coscienza critica” del potere: mi parrebbe un po’ poco e molto inutile. Ma vorrei che il nuovo Soggetto politico, come lo si è chiamato, si liberasse da “l’ansia di un cuor che indocile/serve pensando al regno”, dalla voglia di una rivincita da prendersi sul campo, dalle tentazioni di un movimentismo che, non intervenendo sugli elementi strutturali della realtà, pensasse di rinnovare i rituali del dissenso spostandosi di volta in volta sulle tematiche ambientali, sul precariato, sulla laicità e via dicendo. Anche io credo che si aprano spazi nuovi per un Progetto della Sinistra: ma non per raccogliere i delusi e gli scontenti (o non solo, almeno); piuttosto “puntando in modo ambizioso alla creazione di un nuovo progetto per la società italiana, anche da un punto di vista culturale”. Soprattutto da un punto di vista culturale: attraverso la riappropriazione di una capacità critica e l’individuazione di obiettivi e di progetti che siano capaci di coinvolgere progressivamente coloro che ancora non sono stati contaminati –se non superficialmente– dalla cultura del nulla (si veda il fondamentale saggio di U. Galimberti, L’ospite inquietante, Milano Feltrinelli, 2007), largamente dominante. Parlo degli adolescenti, dei giovani, di coloro che sono ancora in grado di capire l’importanza dei grandi problemi della loro vita e del loro futuro –il rapporto con l’Ambiente (sottratto alla guerriglia autoreferente dei movimenti attuali), il rapporto con il lavoro, con la giustizia, con la libertà, con la felicità. Penso alle masse davvero imponenti delle manifestazioni per la pace, presto lasciate disperdersi perché non disposte a seguire le forze politiche nei loro complicati e vani discorsi sull’ordinaria amministrazione. Penso alle masse smisurate che consumano nella noia l’attesa di qualcosa che dia un senso alla loro vita –e la scuola può essere un alleato strategico, “semplicemente” insegnando a leggere, scrivere e far di conto, nel senso pregnante di queste parole–. Penso a tutti coloro, anche più maturi, che sentono un profondo senso di impotenza perché la prospettiva troppo ravvicinata non lascia vedere orizzonti e produce angoscia. Tutti questi, tutti noi, aspettiamo di ricominciare a guardare lontano, di rivestirci di una diversità sostanziale, fatta di cose che vengano chiamate con il proprio nome; di immaginare una realtà in cui il patto di lealtà riguardi tutti e non solo i “fratelli” o i “compagni”; in cui la “legalità” non sia mero evitare di incorrere in violazioni, ma costume di vita, essenza di ogni comportamento, esigenza impietosa verso di sé e verso tutti. Abbiamo bisogno di applicare sistematicamente questa lettura etica totale a tutti gli aspetti della vita individuale e associata, e su questo richiamare chi governa, nei diversi livelli, a una osservanza senza deroghe: e quando questa non si dia, dobbiamo riuscire a muovere coscienze e persone per manifestare pubblicamente e con forza la nostra critica, fino a modificare decisioni e atti di governo, e insieme spostare il consenso verso il nuovo metodo politico. L’obiettivo minimo che possiamo darci è di cambiare il mondo in una ventina d’anni, cominciando a cambiare le persone che hanno più di vent’anni con l’aiuto di chi ne ha meno. Con una azione puntuale di progettazione e di elaborazione di temi di analisi e di contestazione. A cominciare dalle realtà periferiche, dove il lavoro può essere più agevole perché le dinamiche del cambiamento sono meno vischiose: ed è più facile raggiungere presto –anche prestissimo forse– un riequilibrio dei consensi e delle forze. Qualcuno ha parlato di un grande progetto per “l’Elba che vorremo tra venti anni”, da inaugurare subito. E’ una grande idea; facciamola diventare un progetto esecutivo. Chi ha voglia di governare l’ordinaria amministrazione del presente si accomodi. La Sinistra ritrovata cominci a lavorare puntualmente per il futuro.
Luigi totaro