Dimenticare Portnoy, dimenticare la Pastorale, dimenticare Sabbath, dimenticare le pulsioni vitali che scandiscono l’esistenza. Passioni e istinti che sostengono i personaggi e le loro storie, a volte paradossali, spesso estreme e carnali. Un unico punto di vista fino ad ora: lo sguardo in avanti, cogliere ogni dettaglio per addentrarsi nella società americana, ma anche nel quotidiano di chiunque, quasi a scandire una velata ansia di affermazione. Una copertina nera come il lutto e un titolo indefinito, volutamente ambiguo a mascherare l’universalità della pochezza dell’individuo, a stravolgere le dinamiche di una continua sfida all’esistenza, il buio della fine mascherato da voluta incoerenza, da iperattività sessuale, da narcisistica presenza. Il personaggio senza nome nasce al suo funerale, guarda la vita e ne ha inconsciamente paura, ogni palata di terra lo rende vero, non letterario ma presente nella quotidianità di chiunque sappia che la morte è solo uno strumento. Per chi ha un minimo di “frequentazione” con Roth non è una sorpresa, la morte esiste, inutile esorcizzarla con promesse di paradisi veri o illusori a seconda del livello di fede, ma intanto perché nascondersi, la memoria è solo l’inevitabile appiglio a qualcosa che ci sforziamo di reputare altro, siamo qui, di fronte ad una copertina nera a nascondere le nostre paure che ad un certo punto qualcuno ci sbatte in faccia, non la fine in quanto tale ma il percorso, unico e personale, che si compirà nel momento in cui avremo il coraggio di guardarci dentro. Ognuno indistintamente e senza declinare le generalità. È inevitabile chiedersi se sia giusto dimenticare tutti i personaggi, dimenticare gli eccessi vitali che caratterizzano l’opera di Roth. Basta non avere paura della verità, della scoperta (o conferma) dell’inevitabile decadenza, della perdita di qualunque certezza, anche quelle che sembravano assolute. Per questo la narrazione è quanto mai essenziale, le altre storie poco importanti di fronte all’uomo senza nome, alla sua sfrontatezza che si rivelerà vana nel momento in cui la vita chiede il conto. Non c’è lieto fine in un romanzo che inizia con un funerale e si chiude dopo un colloquio con un vecchio becchino. Eppure la cosa che davvero colpisce e che ha fatto di questo libro uno dei più controversi di Roth, è l’immediatezza di alcune immagini, la durezza di certe descrizioni, nessuno esorcismo letterario, anzi il desiderio di proporre come semplicemente inevitabile qualcosa che spesso è più facile far finta di dimenticare. «La cosa più straziante è sempre la normalità, il constatare ancora una volta che la realtà della morte schiaccia ogni cosa». Philip Roth Everyman Einaudi € 13,50
everyman roth