Credo che Grillo abbia superato il limite democratico quando ha rivolto il suo attacco, dai politici, dalla cosiddetta casta, all’esistenza dei partititi politici. Non di questo o quello, ma dei partiti politici in quanto tali, assumendoli come la causa della crisi e della difficoltà che sta incontrando lo Stato democratico nel nostro Paese. Difficoltà che, pur vero, si esprime in molteplici facce: dall’instabilità dei governi, agli squilibri dei bilanci pubblici, dalle politiche fiscali troppo esose, alle carenze ed inefficienze delle politiche pubbliche, di sicurezza e sociali. C’è chi ritiene che questa situazione possa agevolare determinati interessi a discapito di altri o di chi ritiene che questa debolezza della politica democratica possa agevolare disegni di disarticolazione e separazione della compagine democratica e nazionale: appelli allo sciopero fiscale, rottura della solidarietà nazionale, forme di discriminazione e intolleranza civile e razziale, legittimazione politica di fatto delle organizzazioni criminali e dell’illegalità su ampie aree di territorio meridionale, ecc. Inoltre il tessuto democratico, associativo ed anche ideologico, del Paese, cresciuto e conosciuto dal dopoguerra ad oggi, si è indebolito o progressivamente disgregato per inadeguatezza, sotto i colpi delle trasformazioni sociali intervenute in questi turbolenti anni. Il Paese è come bloccato nella sua possibilità di crescita civile e sviluppo democratico da molti lacci e laccioli (un tempo venivano chiamati rapporti sociali) e la politica, come capacità di governo e di riforme, è ferma, paralizzata da una instabilità e frammentarietà politica, a destra, come a sinistra. La Chiesa Italiana, come comunità religiosa, con il suo potente apparato etico/ideologico ha percepito questi processi rischiosi e disgreganti e li viene denunciando per la loro implicazione nella sfera morale ed etica del Paese, particolarmente verso le nuove generazioni, accentuando la sua presenza e la sua capacità aggregativa e simbolica comunitaria. La comunità politica, altra dimensione rappresentativa della coscienza e della convivenza civile del Paese, stenta a trovare una nuova sintonia con il Paese, con il suo presente e particolarmente con il suo futuro. La crisi di credibilità della politica è proprio questa mancanza di progetto per il futuro, di una prospettiva valoriale e materiale che giustifichi i sacrifici di oggi, che dia coraggio e sicurezza ai giovani ed al Paese intero. Non so se qualcuno, come risposta a questa crisi, aspetti e speri ormai in un salvatore della patria, magari un uomo di successo fattosi da solo, che si presenti come il fustigatore dei cattivi vizi e costumi della politica, che, additando la democrazia come un sistema incapace di assicurare stabilità e buon governo, avochi a se i “poteri”, tutti i poteri, legislativo esecutivo e giudiziario. Esempi di questo tipo ci sono tuttora in giro per il mondo. Non credo che questa possa e debba essere la strada giusta per l’Italia. Un rinnovamento della politica, una sua rifondazione non può non partire da una visione democratica, dove centrale deve restare la partecipazione dei cittadini, dove le regole e le leggi siano il prodotto di una condivisione democratica. Ora i partiti politici in Italia, non sono un’invenzione divina o del potere costituito, ma il prodotto di uno sviluppo, che la democrazia ha avuto nel nostro paese, dopo la caduta del regime dittatoriale fascista, che li aveva aboliti e restano tuttora il canale attraverso il quale i cittadini possono concorrere democraticamente alla formazione della politica nazionale, con le proposte ed i programmi da essi stessi elaborati. Attaccarli e chiederne l’abolizione è come chiedere l’abrogazione della democrazia. Dire che li sostituisco con qualcosa di migliore è un inganno, dal momento che potrebbe essere ottenuto in modo democratico partecipando alla competizione politica per affermarsi al posto di essi. Ma anche proporre, a fronte dell’attuale frammentazione e pletoricità di partiti e partitini, altri partiti che si aggiungerebbero a quelli che già ci sono, sarebbe aggravare la crisi della politica proprio perché legata a questa frammentarietà e litigiosità. La proposta di grandi partiti a vocazione maggioritaria e democratici, all’interno di un sistema ad alternanza democratica, capace oltre che di far partecipare e rappresentare, di decidere, è forse la risposta più efficace e moderna alla crisi della democrazia e della società italiana. Il nascente PD è la sfida lanciata proprio su questo terreno, sia alla destra, ma anche alla sinistra, ad una sinistra che riduce il proprio ruolo ad una rappresentatività frammentata (PRC, PDCI, VERDI, SDI ed ora SD), testimoniale e limitata a problematiche sociali particolari o all’ereditarietà di orizzonti, ideologie e culture anch’esse limitate (sinistra antagonista, comunismo, socialismo ecc.), inadeguate a cogliere le spinte progressiste ed innovative che provengono dalle culture femministe, ambientaliste e riformiste di matrice cattolica e democratica, con il rischio evidente di una ulteriore frammentazione e subalternità all’esistente.
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