E’ davvero singolare questo scorcio di estate, che chiude segnato da alcune rappresentazioni di posizioni contrarie, variopinte nelle loro diverse sfumature, sulla istituzione delle aree marine protette. Posizioni diversificate, ma tutte riunite in una comune filosofia di fondo, basata sulla negazione. No alla loro istituzione. Ho già visto questo film a partire dalla fine degli anni 80, quando si avviarono le procedure per l’istituzione del Parco Nazionale. Dieci anni di polemiche sterili e inutili, di contrapposizioni ideologiche, e di pochissime riflessioni sulla sostanza dei fatti. A quel tempo, secondo gli strenui oppositori, molti gli stessi e con le stesse motivazioni di oggi, il parco avrebbe condotto alla morte sociale e civile dell’isola; molti fra gli amministratori, approfittando dell’aria da rivolta creata da improvvisatati capipopolo, si presentavano alle assemblee pubbliche, annunciando che l’Elba non sarebbe stata governata da podestà venuti da Roma. Altri, tra cui il sottoscritto, difendevano l’idea dei parchi e delle aree protette come strumento di sviluppo sostenibile, oltre che di protezione, cercando di ribattere punto per punto alle assurdità che venivano divulgate. Il Parco Nazionale dell’Arcipelago, istituzione dello Stato italiano, non ha condotto, dal 1996 ad oggi alla morte sociale e civile delle isole italiane. Ha fatto molti passi e prodotto molti interventi positivi sull’ambiente, ma non ha fino in fondo giocato quel ruolo che gli compete in base alle finalità che la legge gli assegna. E’ questa la più consistente e motivata critica che possiamo muovere al nostro parco. Ed è ovvio che dobbiamo chiederci perché. Ed i motivi ovviamente, in base all’analisi oggettiva dei fatti, ci sono. Primo. La Comunità del parco organo dell’Ente, composta dai sindaci dei comuni interessati, deve redigere il Piano di Sviluppo economico e sociale; ebbene questo in dieci anni non è ancora stato fatto. Come può l’esecutivo realizzare i progetti se manca lo strumento nel quale questi sono indicati. La comunità deve dire cosa fare in termini economici, quali progetti, quali priorità, quali iniziative, e dare le indicazioni per le priorità dei cittadini dal punto di vista culturale e sociale. Senza questo non si può sparare a zero sul “carrozzone inutile” che sarebbe, secondo i critici il parco. Secondo. I primi cinque anni caratterizzati della presidenza Tanelli sono stati quelli della fondazione. Si è partiti da zero, senza nemmeno una sedia e superando i comprensibili problemi normativi e pratici della costruzione ex novo di un nuovo soggetto politico istituzionale. Conosco le difficoltà e i problemi di quel periodo per averli vissuti in prima persona. I primi tempi sono stati quelli anche della dimostrazione pratica che il parco non portava la morte sociale e civile; anzi. Forse si sarebbe potuto operare di più e meglio, certamente, anche perché erano state poste importanti basi: progetti di educazione ambientale con le scuole, specifici progetti sulla gestione dei rifiuti, finanziamenti comunitari sulle piccole isole, rifacimento completo della sentieristica su tutto l’arcipelago, progetti comunitari per la conservazione di specie strategiche a Pianosa e a Capraia, realizzazione dei centri visita e delle case del Parco, interventi di risanamento ambientale in aree strategiche e nelle zone percorse dagli incendi, protocolli di intesa con le associazioni degli agricoltori, dei pescatori e con i sindacati, elaborazione del Piano per il Parco e del regolamento; molte cose che solo i parchi più bravi, nel nostro paese, sono riusciti a fare. Molte, specie i protocolli, sono rimasti lì, da attuare e con un po’ di buona volontà in più si potevano certo cogliere più frutti. Terzo. Tutto questo si è inceppato al cambio del governo nel nostro paese. E’ iniziata, per lunghi cinque anni, l’era del commissario Barbetti che, pur capace ed elbano, ha inaugurato una stagione di conflitto e di contrapposizione con gli enti locali che hanno prodotto un ingessamento del ruolo del parco; ha bloccato, di fatto la fase conclusiva per l’approvazione degli strumenti di gestione ed ha prodotto una situazione in cui l’ente navigava a vista, azzerando il ruolo della comunità del parco, divenuta solo palestra di scontro tra il commissario ed i comuni. Quarto. Molti rappresentanti dei comuni siedono, per legge all’interno dell’ente. Questi nel passato hanno svolto un ruolo di scarsissimo peso politico e gestionale (salvo rarissime eccezioni); sono loro che, raccordandosi alla comunità del parco e alle amministrazioni locali dell’arcipelago, devono presentare le istanze e gli interessi degli elbani, capraiesi e gigliesi. Quinto. Ora, dopo 10 anni, con un nuovo direttivo e un nuovo presidente, ed oggi col nuovo direttore, ci sono moltissime aspettative e molta sfiducia nel parco. Sfiducia perché nei primi 8 mesi della nuova presidenza si sono viste, da parte dei cittadini, solo polemiche tra il parco e le amministrazioni locali, alcune uscite infelici per la gestione di servizi elementari che poco c’entrano con le finalità di un area protetta (gestione turistica di Pianosa) e poco altro; sfiducia perchè gli abitanti dell’arcipelago aspettano da molti anni di vedere un ente che funziona e che realizza; aspettative moltissime: il parco non fa più paura e si è capito che non impone nuovi impossibili vincoli, che può essere uno strumento che migliora la qualità della vita e arricchisce il nostro territorio in termini di immagine e anche di fruizione turistica. Non credo sia affermare che non si vuole il parco e il suo logico completamento a mare (istituzione delle ree marine protette) perché “non mi fido”. La legge italiana prevede, in ottemperanza alla normativa dell’Unione Europea, la realizzazione delle aree protette. La loro realizzazione, in quanto integrazione di quello a terra è quello che è stato deciso dalle nostre istituzioni, parlamento e governo a partire dal 1989. Questa deve essere concordata con le amministrazioni locali. In queste settimane i comuni dell’arcipelago stanno ricercando l’intesa facendo con proposte sensate che vengono presentate alla cittadinanza, attraverso assemblee pubbliche e specifici incontri con le associazioni di categoria. Affermare che questo processo non sia partecipativo e rappresentativo e davvero poco rispettoso delle istituzioni; si chiede, in quanto agli incontri partecipano pochi cittadini (verità parziale perché 20 o 50 cittadini ad ogni incontro rappresentano un discreto numero in termini di contributo della popolazione alla discussione e al confronto), una consultazione popolare. Vorrei chiedere: su cosa? Sull’Elba agli Elbani, Capraia ai Capraiesi, Giglio ai Gigliesi e Campiglia ai Campigliesi, oppure sull’Elba e le isole dell’arcipelago al mondo, in un’apertura che ci consenta di offrire queste isole e il loro mare al godimento sostenibile di tutti coloro che lo vorranno? Oggi, come 10 anni fa è difficile parlare di proposte quando ci si ferma a questi livelli e al “non mi fido”, alla contrarietà pregiudiziale ai parchi e alle aree protette. Certo le aree marine protette pongono problemi di controllo, gestione e sorveglianza, diversi rispetto a quelli posti nella parte terrestre del parco. Ma non possono essere solo i questi i motivi per cui si è contrari. Il mare, con riserve e zone di protezione, rappresentano una grossa opportunità economica per le nostre isole. E’ questo il fine a cui giungere. Il parco e i comuni dovranno stabilire accordi e convenzioni con i circoli della vela, con gli operatori del demanio marittimo, con i diving, con le cooperative e le associazioni dei pescatori, con i sindacati della pesca, per la gestione dei servizi e delle aree all’interno e fuori dell’area marina protetta; dovranno individuare le prime cose da fare concrete per gestire insieme a tali soggetti l’enorme patrimonio che abbiamo. Il “non mi fido”, per me non funziona; questo scarso senso dello stato e delle istituzioni è una caratteristica del nostro modo di essere italiani; anche se storicamente, possiamo essere scusati perché siamo la terra delle signorie e dei comuni, dei piccoli staterelli, a differenza dei primi stati nazionali europei, non siamo pienamente giustificati per lo scarso senso civico per il poco rispetto che spesso dimostriamo per le istituzioni. Lo Stato è vissuto come qualcosa che opprime, che impone tasse e balzelli, e così i suoi organi; dovremmo iniziare a capire che lo stato è nostro, siamo noi, e rispettare coloro che per questo lavorano. La fiducia nelle istituzioni può solo migliorarle. E’ vero che siamo anche isolani; e qui dobbiamo dimostrare di avere ancora quella capacità critica dei presidi insulari, riappropriarci dell’identità di isola che stiamo perdendo, delle capacità propositive e di scelta. Facile, ad esempio, sparare a zero contro la gestione dei rifiuti, quando questa situazione è stata prodotta proprio dagli elbani e dai nostri amministratori; dobbiamo essere critici con le posizioni approssimative, contro gli slogan vuoti, contro le approssimazioni dei media (Elba=inquinamento=cemento), ma distinguerci, come cittadini nel rispetto delle istituzioni, con dovuto senso di appartenenza allo stato e al nostro paese.
marino garfagnoli