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Il Partito Democratico e l’antipolitica

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : mercoledì, 22 agosto 2007

Anche dell’antipolitica, come della politica, non si può fare di tutta un’erba un fascio. C’è un’antipolitica che trova motivazione ed alimento in chi vorrebbe avere più “libertà d’azione” ; in quelli che mal sopportano le regole, gli obblighi, le compatibilità, i doveri, specie quelli verso gli altri o verso l’insieme, che sia una comunità, un contesto, sociale , ambientale, in poche parole verso lo Stato inteso non come apparato, ma come istituzione politica e sociale. ecc.. In questo caso la politica è combattuta proprio perché è vista come l’antica civitas ateniese, come convivenza, comune, responsabilità verso valori comuni, come solidarietà tra membri pur diversi tra loro. Se da questo punto di vista si analizzano i comportamenti tenuti da certi gruppi sociali che incorrono in comportamenti “illegali o illeggitiimi” quali l’evasione fiscale, l’abusivismo edilizio, attività illegittime ed abusive, l’egoismo ed il corporativismo nel rivendicare privilegi ed esclusivismi, la malsopportazione del diverso o del distinto di un ente (individuo o istituzione) che contrasti con l’utile immediato, in ciò ed in essi ritroviamo le fondamenta di una certa “politica dell’antipolitica”. Potremmo dire che questa interpretazione politica dell’antipolitica la troviamo in molte posizioni della destra e di una certa tradizione liberale, riassumibile nella famosa frase “meno Stato più mercato”, oppure “meno politica più società civile”, ecc. C’è poi l’antipolitica alimentata da un’area sociale che non partecipa in pari e con eguale dignità al “banchetto sociale”: gli immigrati, gli anziani, i giovani, le donne, i lavoratori e che devono fare i conti quotidianamente con la precarietà e la insufficienza di mezzi per la propria vita ed il proprio futuro.Qui l’antipolitica, che possiamo rintracciare nelle posizioni di una certa sinistra cosiddetta antagonista, è alimentata dalla strumentalizzazione della diffusa percezione di questi gruppi sociali di non sentirsi grandemente ed equamente rappresentati dalla politica, nei loro bisogni ed esigenze: la politica è anche per essi l “antipolitica”, critica della politica e basta, protesta contro la politica, presentata come oligarchia chiusa, come una casta, una classe di politici dediti al mantenimento di ruoli e posizioni personali di potere, lontana dal sentire della gente comune; ed anche i partiti sono presentati in modo contrapposto alla società civile, contrapposti ai movimenti, ai comitati, ecc. Il risultato complessivo di queste forme dell’antipolitica, di destra e di certa sinistra, è il rischio di un coacervo di spinte centrifughe, atomistiche nella società, di una frammentazione e lacerazione della politica, dove diventa difficile, se non impossibile promuovere il senso di comunità e quello di responsabilità generale, dove si trovano a loro agio solo i populisti e i demagoghi. La risposta non può essere certo quella di “mors tua, vita mea”, di una lotta politica basata sulla dicotomia amico/nemico dove la competizione politica ha come risultato, non il bene comune, ma bensì la soppressione del nemico, dell’avversario politico. L’unica strada e quella di una politica democratica, di una politica dove trovino rappresentanza tutti gli interessi della società, che sappia coniugarli con valori ed ideali di convivenza e sintetizzarli con gli interessi generali. Una politica democratica valida è quella che si basa sul rispetto politico dell’avversario; il Partito democratico dovrà non solo superare la frammentazione della politica, ma dare a questa una valore nuovo, come luogo di ricerca del bene comune e dell’interesse generale, come confronto aperto e leale. Questa politica si potrà affermare solo attraverso il riconoscimento della piena legittimità democratica di chi non la pensa come te e del diritto di tutti di poter concorrere al bene comune. Anche nella competizione politica dovrà essere rispettato e riconosciuto come funzionale alla libera dialettica democratica, l’alternarsi di schieramenti alternativi, per programmi e contenuti, nella logica del costituirsi di una minoranza e di una maggioranza. Nessuno può disconoscere l’altro, di delegittimarne il ruolo e la funzione, pensando di non far governare le maggioranze fino ad accusarle di illegalità (il ricorso alla via giudiziaria o prefettizia), di antidemocraticità o, per altro evrso, di limitare il controllo democratico di critica e di proposta della minoranza. Solo a queste condizioni è possibile ricreare fiducia nella politica e partecipazione democratica e solo a queste condizioni possono prodursi cambiamenti ed innovazioni.


Giuseppe Pino Coluccia

Giuseppe Pino Coluccia