L'ennesimo episodio di sversamento o mare di idrocarburi che sta interessando le coste sud-occidentali dell'Elba (dopo lo spiaggiamento di catrame di qualche giorno fa a Seccheto) , con "macchie" sparse tra punta di Fetovaia ed il mare di Chiessi e Pomonte, e che ha raggiunto la costa solo in pochi limitati punti solo grazie alle correnti favorevoli ed al pronto intervento dei mezzi antinquinamento del ministero dell'ambiente ed al coi ordinamento della Capitaneria di Porto, riporta come ogni anno alla luce il gravissimo pericolo che corre periodicamente l'Arcipelago Toscano, ed il suo mare protetto e quello destinato a diventarlo. Speriamo che anche questa volta non si ripropongano rimedi che poi non vengono messi in atto e si proceda davvero a mettere in piedi quella sorveglianza in mare e magari con satelliti che è stata più volte promessa ad ogni "incidente" di questo tipo. Ad iniziare dal mettere concretamente in atto il principio "chi inquina paga". Il traffico marittimo nel Mediterraneo fatto da giornalmente di 2.000 traghetti, 1.500 cargo e 2.000 imbarcazioni commerciali, di cui 300 navi cisterna (il 20% del traffico petrolifero marittimo mondiale) che trasportano ogni anno oltre 340 milioni di tonnellate di greggio, ben 8 milioni di barili al giorno. In media nel Mediterraneo si contano circa 60 incidenti marittimi all'anno e in circa 15 di questi sono coinvolte navi che provocano versamenti di petrolio e di sostanze chimiche. Tra le rotte più a rischio ci sono quelle che passano accanto all'Elba per Livorno e Genova. L'Italia è la nazione con il più alto numero di raffinerie del Mediterraneo (17) e di principali porti petroliferi (14), che lavorano un quarto del greggio di tutto il Mar Mediterraneo ( 2.300.800 barili al giorno). Dal 1985 si sono verificati nel Mediterraneo ben 27 grossi incidenti, con uno sversamento complessivo di oltre 270.000 tonnellate di idrocarburi e i princiali sono avvenuti in Italia. L'elevato traffico di idrocarburi accanto ad isole e mari che fanno parte di un Parco Nazionale li mette continuamente a rischio ed una buona parte delle 100/150.000 tonnellate di idrocarburi che secondo L'Unep Map dell'Onu finiscono nel Mediterraneo probabilmente sono dovute anche a quel che succede al largo delle nostre acque, magari in quelle internazionali. Anche l'episodio preoccupante di oggi conferma che si tratta ormai di un uso incivile e continuo del nostro mare che ha prodotto una densità di catrame pelagico nel Mediterraneo, 38 milligrammi per metro cubo, la più alta del mondo. Spesso si tratta di inquinamenti derivati dall'attività operativa delle navi, come lo scarico in mare di acque di zavorra, slop, morchie, scarico troppo spesso solo in teoria proibito per lo status di area speciale del Mediterraneo ai sensi della Convenzione Marpol 73/78. Gli sversamenti possono infatti essere dovuti a incidenti più o meno gravi che vanno dalla rottura di una manichetta alla perdita della nave (inquinamenti accidentali) ad attività illegali (inquinamenti volontari) o possono essere dovuti alla normale attività di esercizio della nave (inquinamenti operazionali). Nel Mediterraneo, secondo le statistiche IMO, la percentuale degli inquinamenti da idrocarburi dovuti a sversamenti accidentali da navi è del 10%. Analizzando le cause di questi incidenti, è possibile riscontrare che per il 64% dei casi esse sono imputabili ad errore umano, il 16% a guasti meccanici ed il 10% a problemi strutturali della nave, mentre il restante 10% non è attribuibile a cause certe. Per avere un quadro maggiormente aderente alla realtà bisogna tenere presente come la gran parte delle percentuali attribuibili agli errori umani e alle cause non determinate possono senz'altro essere ascritte ai problemi connessi alla presenza di vecchie o malridotte imbarcazioni con equipaggi improvvisati e impreparati che percorrono ancora in gran numero il Mediterraneo. Secondo statistiche elaborate dall'Itopf, l'associazione di categoria dei trasportatori di idrocarburi, le cause degli sversamenti si manifestano secondo le seguenti proporzioni: • durante le operazioni di carico e scarico circa il 35%; durante il bunkeraggio circa il 7%; per collisioni circa il 2%; per arenamento circa il 3%; per falle nello scafo circa il 7%; in seguito a incendi o esplosioni (come nel caso della Haven) per il 2%; per altre cause non meglio determinate il 29%. Per quanto rilevanti, gli sversamenti accidentali di idrocarburi rappresentano solo una piccola quota del totale degli scarichi dovuti al traffico marittimo. La maggior parte di essi infatti, circa l'80%, è determinata da operazioni di routine, in particolare dallo zavorramento e dal lavaggio delle cisterne, o da inquinamenti volontari. Negli anni '80 lo spill attribuito a queste cause veniva stimato in circa lo 0,2% del carico trasportato, con uno sversamento medio a livello mondiale, valutabile da 8 a 20 milioni di barili, di cui 1 milione di barili nel solo Mediterraneo. Questa quantità si è certamente ridotta nell'ultimo decennio, anche grazie all'entrata in vigore delle nuove misure previste dalle convenzioni internazionali ed alla progressiva scomparsa delle navi cisterna prive di zavorra segregata, ma l'inquinamento non accidentale costituisce ancora un fenomeno assai rilevante. Secondo il REMPEC ogni anno continuano a finire per questo motivo nel Mediterraneo tra le 100 e le 150.000 tonnellate di idrocarburi, ovvero più della somma dei carichi trasportati dell'Erika e del Prestige, protagoniste delle due più gravi maree nere degli ultimi anni nelle coste europee.
mare spiaggia le tombe