“Isola non oil”, “limitare l’accesso dell’auto”, “difesa ad oltranza della fauna e flora marine e terrestri”, “costa libera e godibile paesaggisticamente”, “no a nuove costruzioni edili di tipo residenziale turistico”, ecc. Sono le parole d’ordine che ormai da qualche tempo ci abitua e lancia sistematicamente il presidente del PNAT, Tozzi. E di questo dobbiamo essergliene grati, se non altro perché risveglia in tutti noi una coscienza critica, assopita ed annebbiata dai luccichii del consumismo sfrenato e dal clima assordante delle vacanze mordi e fuggi o degli incassi massimizzati in un arco temporale che si riduce a pochi mesi, per poi tirare a campare per gli altri restanti. Certo c’è anche chi si domanda se dietro queste esternazioni non vi sia più un utopista e un visionario, per non dire, un rompiscatole, che essendo in vetrina per professione (la tv ed i media), voglia mantenere alto l’audience delle proprie performance e rimuove il fatto che a parlare è anche uno scienziato. Questo rischio, comunque, si può subito smascherare se, come si suol dire, si riuscirà a passare dalle parole ai fatti. Del resto gli Elbani aspettano proprio questo, dopo tante promesse sui benefici del PNAT e i sacrifici sostenuti da chi ha visto limitare e contenere certe proprie tradizioni, come la caccia od il libero accesso al territorio, ancora ci si chiede chi faccia veramente qualcosa a fronte di annosi problemi di tutela ambientale tuttora irrisolti. Se però riflettiamo seriamente su queste affermazioni e proviamo a coglierne tutte le implicazioni economiche, sociali, culturali e, innanzi tutto politiche, di tali esternazioni, ci troviamo di fronte alle valutazioni realistiche di uno scienziato ed alle possibili linee di un progetto “rivoluzionario”, cioè innovativo e di radicale cambiamento del modello di crescita e di turismo, fin oggi realizzato all’Elba. Un cambiamento che guarda ad un futuro possibile e che del passato e dell’attuale sviluppo, ne denuncia i rischi e le tendenze negative che possono, se non corrette, portare all’irreparabile compromissione di un patrimonio così rilevante ed universalmente apprezzato. Lo stesso benessere economico, derivato dallo sfruttamento turistico fin qui realizzato di tali valori naturali e paesaggistici, risentirebbe di un degrado di quest’ultimi, proprio perché la perdita di quella competitività legata al valore aggiunto ambientale, renderebbe l’isola meno esclusiva ed omologata alle miriadi di “pacchetti vacanze” globali presenti sul mercato turistico planetario. Però, e qui mi rivolgo alla funzione politica che è implicita nel ruolo del Presidente di un Ente Parco, se veramente si vuol passare dalle parole ai fatti, necessità, oltre che precisarne meglio e sistematicamente le linee, i tempi ed i modi, di un progetto di questo tipo, condividerlo con le comunità locali e con le istituzioni che le rappresentano, Comuni, Provincia, Regione. Questo passaggio, quello dell’ottenimento del consenso è fondamentale, non tanto e non solo per onorarne il metodo democratico, ma proprio per assicurarne l’efficacia e la realizzazione in tempi credibili e realistici. Troppo spesso all’Elba sono piovuti “dall’alto” una molteplicità di progetti già belli e confezionati che poi sono rimasti lettera morta e di cui i cassetti locali e ministeriali sono pieni. In questo quadro il Parco è senz’altro la leva sulla quale può e deve poggiarsi un progetto così ambizioso, ma proprio per questo il Parco dovrà essere messo nelle piene facoltà di funzionare e di radicarsi effettivamente sul territorio. Per farlo e per conquistare questa credibilità agli occhi delle popolazioni elbane, l’Ente Parco deve: 1) dotarsi (sono ormai 10 anni che si attendono) degli strumenti di governo del territorio di cui ha competenza: il Piano del Parco, il Regolamento del parco, senza i quali l’Ente sarebbe privo di una direzione politica, con il rischio di veder prevalere eccessi di poteri burocratici e di sottogoverno, 2) risolvere le attuali emergenze ambientali, la presenza di specie animali che hanno prodotto notevoli danni alla fauna ed alla flora isolane. 3) integrare i propri interventi od i propri indirizzi programmatici sul territorio di propria competenza con quello di competenza dei Comuni, della Provincia e della Regione: questa è un’esigenza di “governance efficace per la tutela complessiva del territorio elbano”, che deriva dal peccato originario di una disgraziata perimetrazione del PNAT a “macchia di leopardo” e disomogenea (lasciando fuori le località paesaggisticamente più belle e di valore naturalistico elevato ed oggi più aggredite de certe forme di turismo selvaggio, come: golfi, baie, arenili, vallate, centri storici ecc.); perimetrazione asfittica, che è risultata tale, come ottenimento di un consenso corporativo delle comunità locali , un compromesso ai tempi dell’istituzione del parco, che si è rilevato, con il tempo, l’elemento principale di debolezza del parco proprio perché ne limita le effettive possibilità d’intervento ed il proprio radicamento e funzionamento, se non il proprio futuro.
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