E’vero come è stato scritto su Elbareport che sulle aree protette marine italiane non si trovano molte informazioni neppure su Internet. E la ragione è piuttosto semplice ancorchè sconfortante. Mentre per i parchi terrestri nazionali e regionali in poco più di due decenni il quadro infatti è profondamente e massicciamente cambiato non altrettanto si può dire per le aree marine che pure in numero ragguardevole erano state previste da una legge dell’82 di nove anni precedente la legge quadro 394 del 91. Ora se vogliamo capirne la ragione che può aiutarci anche nel dibattito in corso all’Arcipelago e non rifarcela con il destino cinico e baro vanno sia pure molto sommariamente ricordati almeno alcuni passaggi. Il primo è che la novità più significativa della legge sul mare dell’82 e in maniera altrettanto chiara della legge quadro del 91 era che terra e mare dovevano essere gestiti in maniera integrata e unitaria. I piani delle coste avevano questo preciso valore e obiettivo mai realmente perseguito. Eppure l’Unione europea parla da anni di gestione integrata delle coste e chi naviga su Internet può vedere che da molti anni ci sono parchi regionali francesi come quello di Armorique che gestiscono unitariamente grandi superfici a terra e altrettanto grandi aree marine. Da noi invece c’è da anni una intollerabile e rovinosa manfrina con la quale il ministero con i pretesti più vari e assurdi mantiene le aree protette marine in un binario distinto con esiti scandalosi. Pochi mesi fa in una audizione al Senato il dr Cosentino ha documentato come i soldi alle aree marine –prive di proprio personale-sono negli ultimi tre anni fortemente calati e vanno a finire nei bilanci del piccoli comuni che non hanno strutture idonee per gestirle mancando in quasi tutti i casi il coinvolgimento delle province e delle regioni. E come non bastasse è di qualche settimana fa il passaggio in gestione di diverse aree protette marine anziché al sistema istituzionale all’APAT che con le aree protette non ha nulla a che fare. La situazione è talmente insostenibile e assurda che persino Ustica che per molti anni è stata la sola area protetta marina davvero funzionate con la piccola Miramare è finita anch’essa all’APAT. Cosa c’entra tutto questo con la discussione in corso all’Arcipelago? C’entra eccome. Intanto perché non stiamo parlando di due realtà, di due parchi quello a terra e quello a mare. Il parco nazionale dell’arcipelago è uno e non può non prevedere uno spazio a mare. Poi ovviamente a terra e a mare la gestione attraverso il suo piano regolerà gli interventi a seconda delle caratteristiche dei diversi territori e ambienti. I parchi e non solo in Italia riguardano aree montane, di collina, lacuali, fluviali, archeologiche e persino monumentali e subacque e la loro gestione al pari d’altronde dei PRG dei comuni o dei piani territoriali di coordinamento delle province tiene conto delle varie specificità. In questo senso più volte ho avuto modo di sottolineare che è improprio- anzi sbagliato- parlare di aree marine al plurale. Il parco come perimetra il suo territorio a terra deve fare altrettanto a mare e deve farlo con lo stesso metodo ossia coinvolgendo la comunità del parco e non solo. Non c’è una competenza del ministero dinanzi alla quale si deve aspettare lor signori. Le idee che ci sono –comprese quelle già discusse in passato- vanno riprese, aggiornate e finalmente decise. Il piano del parco dovrà dire cosa ci vogliamo fare, perchè e a quali condizioni. Ci sarà sempre qualcuno a cui il presepe naturalmente continuerà a non piacere. Ma non è una buona ragione per non allestirlo in tempi possibilmente non geologici.
Fotosub Tesei 2005 3