"I nuovi mandarini” (Chomsky): così mi sono sembrati alcuni insegnanti che ho sentito parlare in questi giorni. Quegli intellettuali americani degli anni 60, tecnocrati privi di qualsiasi tensione morale, promettevano al mondo un futuro migliore a condizione che si lasciasse loro la gestione del presente. I nostri ci dicono “Fateci lavorare che stiamo costruendo una scuola migliore”; e se qualcuno non li lascia lavorare? “come si permette questo” –e il riferimento era, con il dovuto disprezzo, a una persona precisa-; oppure “non ammettiamo critiche e se qualcuno le fa facciamo muro”; e a conferma della propria autoreferenzialità fanno convocare un Consiglio di Istituto per esprimere piena solidarietà a due componenti del Consiglio stesso (il dirigente e gli insegnanti, che ne rappresentano la maggioranza), autoassolvendosi. Anch’io sono convinto che il Dirigente e i docenti abbiano “ben operato secondo le loro buone ragioni”; e che, sempre secondo quelle ragioni, quest’anno i ragazzi respinti –che rappresentano una cifra davvero ragguardevole- lo hanno meritato. Ma sono, appunto, le loro buone ragioni; e se qualcuno ha sue ragioni diverse e non meno buone, deve ben poterle esporre. Perché non dovrebbe permettersi di farlo? Non parlo a coloro che gioiscono per la bocciatura di venti studenti perché non mi interessano, ma a coloro che, proprio perché convinti delle proprie idee, dovrebbero essere disposti a confrontarsi. Del resto che cosa rappresentano gli organi collegiali previsti dall’ordinamento scolastico se non l’apertura della scuola verso le componenti della società che sono coinvolte in prima persona nell’educazione dei ragazzi? Che cosa sono i Consigli di Classe se non il luogo nel quale esaminare preventivamente i casi più complessi e trovare possibili soluzioni condivise che permettano l’integrazione di ogni ragazzo nel gruppo? In modo da “promuovere”, come dice il ministro Fioroni prima del Totaro, le abilità di base fra tutti gli studenti; perché nessuno “rimanga al palo”, magari per più anni. Ecco dove sono le perplessità; e allora le domande sorgono spontanee, e rispondere con gentilezza mi sembra il minimo. Io so con certezza che non tutti i genitori dei venti studenti respinti hanno la stessa opinione che ha la scuola circa la maturità dei loro figli, e la loro opinione non è per niente secondaria: perché fermare per un anno o due la vita del loro figlio è un problema che li riguarda, e la scuola deve fare i conti anche con loro; ed è un problema anche della società, perché il ritardo di quei ragazzi (e i costi economici che questo comporta per la comunità) riguarda tutti. O si pensa che la scuola rappresenti una Chiesa i cui Pontefici emettono sentenze infallibili? Se così non è, i genitori (e tutti gli altri) hanno il diritto di sapere perché i loro figli vengono “fermati”, di sapere se sono state valutate tutte le possibili implicazioni per il loro futuro, se si è fatto tutto quello che si poteva fare per evitare ad un ragazzo un momento di dolore, e una battuta di arresto che molto spesso lo espelle dalla scuola. E la risposta della scuola deve essere chiara, trasparente, non evasiva. Deve essere documentata, e se necessario documentata pubblicamente, perché la scuola è un bene della comunità e ad averne fiducia non si può rinunciare.
casa del duca scuola portoferraio