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Da I giorni della preda di Gianfranco Menghini

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 13 novembre 2002

Mentre l'aspettava, Eric si slacciò la cravatta, si tolse lo stretto giacchino e si deterse il sudore dalla fronte. La giovane arrivò con tutto il necessario che appoggiò sullo schienale. Si stava ritirando discretamente, quando Eric la richiamò e la invitò a sederglisi accanto. Mentre la guardava con più interesse, anche se alla fioca luce del candeliere, si accorse che portava un grazioso vestito a fiori, semplice e abbastanza scollato da fare intravedere la forma rotonda dei seni. Si ricordò del suo curioso neo appena sotto il mento e di come lo avesse attratto la prima volta. Laura rimaneva silenziosa in attesa, con aria remissiva e beata, senza intenzione di chiedergli alcunchè, certa che sarebbe stato lui a farlo. Quel tacito contemplarla, come se fosse stata una statua, stimolava Eric a considerare quale fortuna avesse avuto a incontrare una creatura tanto dolce ma, nello stesso tempo, per lui così pericolosa. Quella testarda, cocciuta, forzata decisione di non volersi legare a nessuna donna, nemmeno a Virginie, lo metteva nella posizione di doversi rimproverare sempre qualcosa. Ma come faceva a rimanere insensibile di fronte a tali grazie? In fin dei conti, era troppo giovane per caricarsi di eccessivo autocontrollo e le sue pulsioni di maschio giovane e sano, lo portavano a non idealizzare eccessivamente la donna. Aveva Laura di fronte a ispirargli tenerezza, pur sapendo quale carica di sensualità repressa nascondesse. E, se la giovane in quel momento dava l’impressione di essere calma e remissiva, sapeva che appena sfiorata, avrebbe immediatamente preso fuoco, trascinandolo nel turbinìo di una passione che in lui si sarebbe spenta in pochi attimi, mentre in lei avrebbe rafforzato quell’attaccamento, quel senso di possessività e quel volersi fondere in lui, che tanto lo spaventavano. Lo sentiva, lo temeva, lo combatteva con tutte le sue forze - o almeno tentava di farlo - incurante di passare per egoista, deciso pure a mostrare una durezza d’animo che non gli era congeniale, ma infine, tutta quella tenerezza di cui si sentiva invaso, lo stava avvincendo e il ricordo di tanti notti d’amore, lo stava rendendo vulnerabile. Riuscì a scacciare quei pensieri e, forse stanco della giornata, si concesse un attimo di rilassatezza. Le prese il viso tra le mani, baciandola dolcemente sulle labbra appena dischiuse. Lei rimase immobile, ma Eric sentiva il suo corpo fremere appena come un leggero stormire di fronde. Quel breve contatto non lo aveva appagato, allora la fece sedere sulle sue ginocchia, abbracciandola e la baciò ancora. Lei dischiuse le labbra e rispose con passione e il lieve fremito esplose con un movimento convulso e accerchiante come un temporale improvviso. Laura gli si diede completamente e senza riserve. Non scambiarono una parola in quei brevi istanti. I loro corpi agivano all’unisono, senza alcuna stonatura e i loro movimenti sembravano programmati come il moto perpetuo delle stelle, come l’acqua che scorre a valle e come il vento che accompagna le nuvole. Eric era felice tra le sue braccia e tutta la tensione che aveva accumulato in quei giorni vissuti così pericolosamente, era stata completamente assorbita dal corpo di lei, dalla sua ricettività, dal suo essere il suo ricovero tranquillo e sicuro. Si addormentarono calmi e tranquilli, felicemente esausti, uno accanto all’altra come due fanciulli innocenti, nel silenzio assoluto della casa, vegliati dal vago lucore della luna calante. La finestra era rimasta socchiusa per dare modo all’aria fresca della notte di entrare nella stanza con lievi folate di brezza. Eric si destò dopo qualche ora, forse molestato dalla luce, forse da un richiamo improvviso di un probabile incubo e, nell’aprire gli occhi, mise subito a fuoco la figura di Laura completamente vestita, seduta sulla parte estrema del divano. Lo stava guardando con un’espressione di estatica sofferenza. Egli, forse presago di qualcosa che lo avrebbe infastidito, la guardò lungamente negli occhi, nella speranza di trovarvi una risposta o una ragione che giustificasse quello strano atteggiamento. Forse Laura non aveva potuto prendere sonno, ebbe a pensare. Gli aveva fatto compagnia, rannicchiandosi raggomitolata accanto e poi, forse assalita dai pensieri, stanca di stare in quella scomoda posizione, aveva preferito vegliarlo e guardarlo alla fioca luce di una candela. Non muoveva ciglio allo sguardo fisso di lui. Non lo guardava dritto in faccia, ma teneva i suoi grandi occhi brillanti fissi su un punto indistinto dietro di lui, senza dire una parola, senza fare un gesto. Eric, vinto da quella fissità che lo intimoriva, la svegliò da quello che sembrava essere un torpore, dicendole in un sussurro: “Ma Laura, che hai? Non hai sonno?” “No,” strascicò lei, “non ho sonno.” “Vieni vicino a me, cara, mi piace sentire il tuo corpo incollato al mio. C’è una brezza fresca che sta entrando dalla finestra. Vieni a scaldarmi un po’.” “Quando partirai?” Gli chiese senza scomporsi. “E’ vero che partirai non appena torneranno i tuoi amici?” insistette con parole ben distinte, seppur sussurrate. “Dimmi, è vero?” “Vero? Eh, cara Laura, che c’entra questo?” Le rispose meravigliato. Poi, visto che la ragazza attendeva una risposta, proseguì: “Penso proprio di sì, ma…” “Ma, che ma e ma, Eric! Vorresti farmi credere che ritornerai? Una volta a casa tua, perchè dovresti tornare qua?” Il tono della ragazza si era fatto più sferzante, quasi ironico. Sai, abbiamo ancora affari con il banchiere Roccavina a Genova. Non è detto che in qualche occasione...” “Quale occasione? Se non sbaglio, il signor Roccavina è andato via ieri e non mi pare abbia accennato agli affari come l’altra volta. Non mi racconti bugie, Eric?” Gli disse addolcendo il tono. Lui non sapeva cosa risponderle, ma pensò che poteva essere cinico, egoista e anche un po’ approfittatore, ma bugiardo non lo era mai stato e non se la sentiva di mentirle. “lo so che non tornerai,” riprese Laura. “Vorrei rivolgerti una preghiera. Ti prego, pensaci bene prima di rispondermi.” Rimase a guardarlo, questa volta fissamente negli occhi, come a volervi trovare la risposta cui agognava. Poi, in una posa orante, cercando di dare un suono dolce alle parole, gli chiese: “Portami con te, Eric, ti prego.” “Ma non posso, cara, davvero, non posso,” rispose, irritato con se stesso per non poterla accontentare. “Perchè non puoi? Tu sei una persona importante e ricca. Tu se vuoi, lo puoi. Ti prego, esaudisci la mia preghiera, Eric, ti prego,” lo implorò. “Ti ho già detto che non posso legarmi a te. Potrebbe intralciare i piani già predisposti per il mio futuro.” Il tono di Eric era irritante per l’egoismo delle sue argomentazioni. Ma lei, dolce ma decisa, insistette: “Ma io non voglio intralciarti i piani, caro Eric. Assolutamente no. Portami con te lo stesso, ti imploro.” Lui cercò di addolcirsi, dicendole cercando di convincerla: “Vedi, cara Laura, sarà un viaggio pericoloso con tutto il denaro che ci porteremo appresso. Non sarebbe adatto a una ragazza, con il rischio che si ripeta un fatto del genere di quello che ti ho già raccontato… sai di quell’agguato di cui siamo stati vittime e poi, in mezzo a soli uomini! Non sarebbe prudente… nè decoroso.” “Io non ho paura. Niente mi fa paura vicino a te. Mi hai visto, no? Sono stata al buio per ore a vegliarti al solo chiarore di questa candela. Non ho paura di niente con te vicino,” continuò, prendendo un tono cantilenante. “Ti prego, Eric, portami a Parigi. Ti assicuro che non avrò paura di niente e di nessuno. Sii buono…” Le sue parole erano distinte, con il tono di una normale conversazione. Eric si sentiva senza difese e cercò di pensare con decisione a Virginie. Quella visione l’avrebbe determinato a vincere l’insistenza di Laura. Prese tempo e cercò di risponderle blandamente. “Ma ti dico che non puoi venire con me. Forse, una volta che avrò messo il denaro al sicuro, potresti raggiungermi oppure ti invierò Guillaume o Giovanni per accompagnarti. Un bel viaggio a Parigi non ti piacerebbe?” “No Eric, io vorrei venire con te. Adesso. Ti prego concedimi questo privilegio, Eric. Me lo sono meritato, no?” Gli disse decisa. Le ultime parole furono appena sussurrate, ma Eric le aveva capite benissimo. “Allora sei stata con me solo per questo?” Le rispose, prendendo al balzo quell’ancora di salvezza. “No, no, non è vero! Mi è solo scappato di dirlo. Non pensarlo nemmeno!" Gli si oppose alzando la voce. "Io ti ho amato e ti ho dato tutta me stessa, anche la mia anima! Non ho mai pensato di ricavarne qualcosa. Il fatto è che ti amo, ti amo immensamente e non posso più fare a meno di te. Sarebbe come... come se l’anima mi fuggisse via dal corpo. Ti prego, portami con te. Vedrai non ti sarò di nessun impaccio. Mi farò piccina piccina e nessuno dei tuoi compagni mi noterà. Dài, Eric, ti prego,” e, nel dire queste imploranti parole, le incominciarono a inumidirsi gli occhi. “Davvero non posso. Non mi forzare. Ti prego Laura, non forzarmi a dirti cose sgradevoli.” Eric non bisbigliava più, anche le sue parole erano diventate nette e sonore. “Non voglio irritarti, mio caro. Ascolta quello che vorrei fare. Non voglio costringerti ad amarmi. Questo è un patto che io rispetto. Voglio solo stare vicino a te, anche se non con te. Prendimi come tua serva, oppure come cuoca nella tua casa. Sai? In questi ultimi tempi ho imparato a cucinare come la mia mamma. Mi ha dato le lezioni durante la tua assenza. Ti farò contento a Parigi, preparandoti quelle pietanze che ti sono tanto piaciute! Porterò con me anche alcune piantine di basilico, che farò crescere nel giardino di casa tua. Durante il viaggio non ti arrecherò nessun disturbo. Dormirò nella carrozza e ti preparerò i bagagli, terrò la tua roba in ordine.Mi darai una pistola e Giovanni mi insegnerà a usarla, così in caso di pericolo, non solo non vi sarò di impaccio, ma vi difenderò anche a costo della vita! Vedrai come mi renderò utile in questo viaggio, che sarà meraviglioso, vedrai!” Sembrava che Laura vaneggiasse ed Eric si stava irritando sempre di più. “Ci mancherebbe altro!” Esclamò. Poi guardandola mentre piangeva: “Ma Santo Iddio, Laura, non mi provocare! Ti dico che non posso portarti con me! Basta, ti prego!” Disse alzando la voce, irritato di dover usare quei modi spicci, non avendo altro argomento da opporre alle umili richieste della ragazza. Laura pianse convulsamente. Le lacrime le scorrevano copiose e il suo petto si scuoteva tutto creando un effetto gradevole, con i rotondi seni che si muovevano all’unisono. Poi, non potendo più trattenersi, gettò un grido di dolore al quale fece seguire distintamente parole nette e taglienti che recitavano in un tono, malgrado tutto, implorante: “Non uccidermi Eric. Bada che tu mi stai uccidendo! Non chiedo di essere ricambiata del mio amore, ma mi uccideresti, lasciandomi qua. Perchè non ho nessun’altra alternativa in questo posto, per me misero e, dopo il tuo incontro, ormai senza prospettive per il futuro. Non mi fare morire di languore. Non ho niente, e avendoti amato dedicandoti tutta me stessa, non riuscirò più ad amare nessun altro. Lascia che ti stia soltanto vicino, che possa vederti e non toccarti, che possa rivolgerti qualche parola e non discorrere con te, che possa godere delle tua fortuna, che ti auguro copiosa, senza goderne io stessa! Concedimi questa grazia, come una bella statua o un magnifico dipinto si concedono alla vista degli umili. Non abbandonarmi qui, con il destino segnato di una zitella gravida solo di ricordi che svaniranno nel tempo, lasciando lo spazio all’acidità di una vita infelice. E per essere felice, mi basterà vederti ogni tanto. Portami con te! Anch’io, sai, piangerò quando lascerò queste colline verdi di prati e di alberi, i dolci declivi delle valli baciate dal nostro caldo sole, queste acque sgorganti dalle vicine montagne, così chiare e cristalline, questa gente semplice e inoffensiva e, soprattutto, i miei carissimi genitori. Il mio cuore gronderà sangue di dolore a staccarmi da questo meraviglioso mondo dove sono vissuta, ma che rimarrà sterile nel mio cuore come un castello incantato, dopo avermi dato il tormento di avere sognato un amore impossibile...” Laura piangeva a calde lacrime e la sua voce, scossa dai singulti, era aumentata di tono, tanto da straziare il cuore. Eric era commosso, ma non voleva mollare e avrebbe impiegato tutta la sua determinazione e un’insospettabile carica di cinismo per opporsi a quella richiesta. Preso, quindi, da uno slancio improvviso e incontrollato, gridò: “No, no e poi nooo!!!” “E invece io dico sì!” Una voce possente si levò dietro di lui. Era Guillaume che, richiamato dai primi acuti di Laura, era sceso nel salotto per vedere cosa stesse succedendo. “E io, caro Eric, dico proprio di sì, a costo di rompere un’amicizia fraterna.” Il colosso aveva gli occhi umidi per la commozione, ma fremeva in tutto il suo vigore, tanto che sembrava volesse stritolare quell’essere egoista che gli si trovava di fronte. “Ma non hai cuore?” lo rimproverò. “Come fai a non intenerirti a tanto dolore! Eric, non ti riconosco più. Non riconosco più il mio caro fratello, così gentile e generoso. Tu che ti sei fatto difensore dei deboli e dei puri di spirito, perchè indifesi e facile preda di uomini cinici e spudorati, tu, proprio tu, sei così irremovibile di fronte al pianto di questa fanciulla che ti ha dato anche l’anima e che si accontenterebbe solo di carezzarti con gli occhi! Dio mio, come l’egoismo può rendere ciechi, e sordi, e insensibili alle sofferenze altrui!” Laura era rimasta seduta sulla poltrona con la testa reclinata, piangendo e con la schiena arcuata scossa dai continui e irrefrenabili singhiozzi. Eric si era alzato in piedi, buffo nella sua lunga camicia da notte, con un’espressione di terrore negli occhi, finalmente conscio della gravità del momento, di cui in cuor suo si stava già amaramente pentendo. Si era spaventato nel vedere Guillaume, grande, grosso, vigoroso come una quercia, che aveva gli occhi lucidi di pianto a mala pena trattenuto. Non l’aveva mai visto così tenero e nello stesso tempo terribile nella sua collera. E tutto questo per colpa della sua freddezza e del suo immenso egoismo. Rimase paralizzato, in attesa di ricevere una giusta punizione corporale, che lo avrebbe definitivamente risvegliato dalla sua involontaria crudeltà. Gli sparì dalla mente la visione di Virginie, come un sito sicuro dove avrebbe voluto rifugiarsi e rivide il dolce volto implorante di Laura. Si rese finalmente conto dell’enorme ingiustizia che stava commettendo. Riprendendosi, e dopo avere guardato fisso negli occhi Guillaume, a guisa di un tacito messaggio di pace, si avvicinò a Laura, le baciò il viso inondato di lacrime chiedendole perdono per il suo egoismo e la sua cattiveria, assicurandole che l’avrebbe portata a Parigi e tenuta con sé, non di certo come una serva, ma come e più di una sorella.