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AMP - La lunga replica di Peria alle contestazioni di Legambiente e dell'opposizione

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : mercoledì, 27 giugno 2007

Che prima o poi sulle aree marine protette il confronto sarebbe impazzito era assolutamente ovvio ed evidente; che sia successo così presto non è assolutamente un bene. Proviamo quindi, per quanto sia estremamente difficile, a riportare un pò di razionalità e verità nel dibattito in corso. Per provare a fare ciò credo di dover partire dallo scontro prodottosi nell’ultima Comunità del Parco. Si può anche dire che i sindaci dell’Elba (soprattutto quello di Portoferraio) sono demagoghi, qualunquisti ed ignoranti e che stanno cercando di scaricare tutte le colpe sul Ministero dell’Ambiente, ma così dicendo non si rende un grande servizio alla verità. Soprattutto non si rende giustizia a chi è andato davanti al proprio Consiglio Comunale e a trecento cittadini a spiegare i suoi (modestissimi) punti di vista, con onestà e senza astuzie levantine. Torniamo quindi alla riunione della Comunità del Parco, o meglio alle risultanze di essa, che possono essere sintetizzate in tre punti: 1. La proposta di zonazione proposta dal Ministero è in contrasto con gli studi di quadro conoscitivo in maniera significativa. Prendiamo come esempio (ormai famoso) la zona A prevista nella zonazione all’Enfola. Nel quadro conoscitivo è una possibile zona C, con regime vincolistico completamente diverso (Università di Pisa:“Si propone come zona C fino alla batimetrica dei 50 m il tratto che va dallo Scoglietto, situato presso il Promontorio dell'Enfola, a Punta Capo Bianco e il mantenimento della zona di tutela biologica delle Ghiaie (zona B)” . Agriconsulting: “Si propone come zona di protezione attenuata il tratto che va dallo Scoglietto, situato presso il promontorio dell’Enfola, a Punta Capo Bianco, fino alla batimetrica dei 50 m.”). E allora da dove viene fuori la proposta di una zona A all’Enfola? La sensazione che si ha è che qualcuno abbia inventato una nuova matematica, in cui due più due fa otto. Il punto (fondamentale) lo spiega, durante la riunione, proprio il Dott. Donati, che precisa come lo stesso Dipartimento Protezione Natura avesse individuato “falle” ed incoerenze nella proposta del 2005, peraltro segnalandole al Ministero. Donati ad un certo punto dice di più: dice che è d’accordo sul fatto che la zonazione Matteoli va completamente rivista. Prendiamo atto favorevolmente di ciò, ma rimane un mistero: il perché si sia resa pubblica una proposta con evidenti errori (diciamo così), contribuendo in maniera determinante alla nascita di un dibattito impazzito ed ideologico. 2. Il paletto che il Dott. Donati mette non riguarda la suddivisione delle aree a mare e la loro catalogazione secondo i diversi gradi di tutela, bensì la normativa con cui si vanno a definire le regole generali per ciascuna zona (A, B, C). Questa no, dice Donati, non si potrà cambiare. E’ qui che scoppia la rivolta dei sindaci, ma prima ancora –a dire il vero- della Provincia di Grosseto, che contesta anche il fatto che il comune del Giglio abbia fatto una propria regolamentazione autonoma, senza consultarsi con la stessa Provincia e con i comuni costieri. Ebbene, al di là della questione gigliese, credo che chiunque non possa che ritenere inaccettabile che nel primo confronto in terra d’Elba si cancelli in premessa proprio ogni possibilità di discussione sul sistema delle regole. 3. L’irritazione cresce e diviene scontro aperto quando dal metodo si passa al merito: niente visite subacquee in zona A, in zona B autorizzate solo attraverso i diving; per i residenti possibilità di pescare nelle zone B e C solo previa autorizzazione, vietata la pesca con nasse, palangari e filaccioni; divieto di pesca per i non residenti in zona B, acquacoltura vietata ovunque, pesca subacquea vietata ovunque, quasi assimilandola alla pesca a strascico. In realtà sappiamo benissimo che le immersioni subacquee controllate si possono fare anche in zona A, che il prelievo dei pescasportivi risulta pressoché irrilevante rispetto alle popolazioni ittiche, che la pesca subacquea è una delle forme di pesca più selettiva, che la maricoltura di specie non impattanti (vedi Capraia) non crea grossi problemi. E allora perché si vuole continuare a perseverare con impostazioni di questo tipo, anche solo proponendole come contributi modificabili? Soprattutto a chi giova? Ci si accorge degli aspetti paradossali di certe proposte oppure no? Faccio un esempio: se vado a pescare (autorizzato) in una zona B ed in barca con me c’è un amico di Milano, lui cosa fa? Non pesca? E ammesso che abbia un senso, come si controlla tutto questo? E soprattutto quale vantaggio si trae dal non aver diminuito in maniera infinitesimale la popolazione ittica locale? E perché i possessori di seconde case non possono pescare (a parte i soliti furbi con residenze fittizie)? E’ giusto chiudere la porta in faccia ai pescatori subacquei del Tesei che si offrono di dare una mano nella sorveglianza, che presentano a tutte le amministrazioni comunali una loro proposta di zonizzazione, che chiedono di vietare in ogni caso ed in ogni modo la pesca alla cernia? Sono queste le domande e le questioni che scatenano la protesta in Comunità del Parco, non un improbabile antiparchismo. Prendiamo atto che il Dott. Donati, di fronte alla c.d. “rivolta dei sindaci”, ha dato la disponibilità di rivedere anche il sistema delle regole, asserendo che tutto può essere oggetto di confronto e modifica, ma il dubbio che i margini di manovra siano risicati rimane. E’ infatti assolutamente chiaro che l’impostazione ministeriale è fortemente orientata in senso vincolistico ed ha poco a che vedere con altre riflessioni emerse a livello locale, anche tra le associazioni ambientaliste. Proprio una simile impostazione rischia di vanificare, per questioni peraltro francamente risibili, la straordinaria potenzialità anche sotto il profilo sociale ed economico, oltre che della tutela, di un progetto quale quello della AMP. E’ infatti evidente che solo se il progetto è alto, aperto ed innovativo può andare avanti in un’area fortemente antropizzata e caratterizzata da imponenti flussi turistici come l’Elba, può anzi rappresentare una scommessa di valenza europea; se il progetto non ha tali caratteristiche è meglio stopparlo subito, o limitarlo fortemente, poiché mettersi sul petto la medaglia di aver fatto altri X ettari di AMP senza averne verificato la piena compatibilità con gli usi, le peculiarità, la stessa economia di un territorio vorrebbe dire condurre le popolazioni locali ad un mezzo disastro. Proprio per questo i comuni dovranno capire quali sono le possibilità di modificare e rendere confacente al territorio la proposta ministeriale, ricercando le necessarie compatibilità. Per fare ciò nel miglior modo possibile è bene chiarire subito alcuni punti: 1. La proposta di regolamentazione normativa non può che essere “elbana”, cioè unitaria. Anzi, meglio, deve guardare all’intero Arcipelago e vedere il coinvolgimento di tutti i comuni, delle due provincie di Grosseto e Livorno e della Regione. Possiamo comprendere che il Ministero sia abituato a fare istruttorie comune per comune, ma nel momento in cui l’intera Comunità del Parco chiede di esprimersi unitariamente sarebbe assurdo vietarglielo. D’altro canto una simile scelta per le istituzioni locali deve rappresentare un elemento di forte responsabilizzazione: è chiaro infatti che non riuscire a costruire una visione unitaria sarebbe un clamoroso fallimento per tutti. 2. Va chiarito in maniera puntuale qual è il modello gestionale che si vuole impiantare. Ora, ci è sempre stato detto che, per logica normativa, dove c’è un Parco Nazionale è questo che gestisce. Questa impostazione, che deriva dalla L. 394/91 (art. 18 c.2), appare abbastanza pacifica, ma non è priva di implicazioni. La legge 179/2002 all’art. 8, infatti, recita tra l’altro che l’individuazione del soggetto gestore delle aree marine protette, è effettuata dal Ministero dell’Ambiente anche sulla base di apposita valutazione delle risorse umane destinate al funzionamento ordinario delle stesse. Questo aspetto viene evidenziato in maniera molto lucida nel documento sulle AMP prodotto da Legambiente fin dal 7° congresso nazionale del 2003: “........ci appare eccessiva la distanza che separa gli enti gestori di un’area marina protetta dagli enti gestori delle aree protette terrestri, soprattutto alla luce delle novità introdotte dal famigerato art. 8 della legge 179 del 2002: ai primi è preclusa la possibilità di dotarsi di proprio personale, anche solo con competenze amministrative, e l’attività di gestione deve essere portata avanti contando esclusivamente sulla disponibilità di personale da dedicare alla bisogna da parte dell’ente gestore. Tale disposizione ha gettato nello sconforto tanti enti gestori………”. Ora, siamo proprio sicuri che un Ente Parco che viene da cinque anni di commissariamento, che ha il personale ridotto all’osso, che ha un bilancio di sopravvivenza, sia in grado di reggere una simile sfida? Non sarebbe meglio provare ad affrontarla tutti insieme, secondo un meccanismo di reciproca collaborazione? Da sempre Federparchi vede nel c.d. “modello consortile” il modello ottimale. Ci si può ragionare razionalmente e ragionevolmente, o è un tabù? E, comunque, se si ritiene che una simile impostazione sarebbe una forzatura normativa, come si intende affrontare in termini concreti la questione? Perché il punto è che nessuno di noi vuole ritrovarsi con l’ennesimo contenitore vuoto di gestione e pieno solo di vincoli. D’altro canto parlare del modello gestionale vuol dire da subito definire anche: - se si punta su una AMP vasta ed organica, ma a basso livello di tutela o su AMP molto orientate rispetto alla tutela, ma anche molto piccole (c.d. disegno puntiforme), lasciando libero da vincoli la gran parte del mare (sul punto mi sono già espresso); - se si prevede un modello a rotazione e nel caso affermativo, a rotazione assoluta (da AMP a mare libero e viceversa) o relativa (da zona B a zona C ad esempio); - come si intende garantire un adeguato monitoraggio ed un’adeguata sorveglianza in particolare nelle zone a regime vincolistico più elevato, chi la garantisce e con quali risorse umane e finanziarie. Si rischia altrimenti di perdere ogni credibilità, specie di fronte ai visitatori stranieri, molto attenti a questi aspetti; - quali sono gli eventuali finanziamenti ottenibili; - come ci si intende rapportare alle legittime esigenze del comparto turistico, costruendo percorsi di integrazione e collaborazione; - come si costruisce un modello di “governance”, che veda il coinvolgimento attivo nella gestione e nella tutela del mondo della pesca, dei circoli subacquei, dei diving, delle associazioni ambientaliste. 3. Questione che merita una trattazione a parte è quella del demanio marittimo. E’ assolutamente chiaro che i Comuni non vogliono perdere le loro prerogative sul demanio marittimo. A questa legittima richiesta il Presidente del Parco ha spesso risposto che il demanio non è dei comuni. Il Dott. Donati ha invece precisato che le spiagge resterebbero senz’altro ai comuni, con il solo onere di concertare con il Parco gli iter autorizzativi. Peraltro non si capisce bene, nella proposta di regolamentazione normativa, la differenza fra concessioni adottate o rinnovate dagli enti competenti “d’intesa” con l’ente gestore in zona B e quelle adottate o rinnovate dagli enti competenti “previo parere” dell’ente gestore in zona C. Sbaglio a dire che c’è anche qui un po’ di confusione? Al di là della (sempre ineliminabile) necessità di non appesantire i procedimenti con passaggi eccessivamente complessi, concordando quindi procedure snelle, credo che per evitare fraintendimenti e soprattutto per non dare spazio a polemiche strumentali, basterebbe adottare come modello generale quanto stabilito nel decreto Matteoli del 9 novembre 2004, modificativo del regime normativo della AMP delle Cinque Terre: Art. 12. Demanio marittimo I provvedimenti relativi all'uso del demanio marittimo e delle zone di mare ricadenti all'interno dell'area marina protetta «Cinque Terre», anche in riferimento alle opere e concessioni demaniali preesistenti all'istituzione della stessa, sono adottati o rinnovati dall'amministrazione competente d'intesa con il soggetto gestore dell'area marina protetta, tenuto conto delle caratteristiche dell'ambiente oggetto della protezione e delle finalita' istitutive. A proposito della manutenzione e/o messa in sicurezza di opere esistenti e della gestione integrata della fascia costiera, poi, per le zone B e C, nella proposta di regolamentazione ministeriale, si prevede che siano “realizzabili, d’intesa con l’ente gestore e il ministero, se previsti dagli strumenti di programmazione territoriale vigenti alla data di pubblicazione del decreto”. E se non sono previste (caso del tutto normale poiché la programmazione si fa di solito di cinque anni in cinque anni), ma sono comunque indispensabili? Non sarebbe decisamente più sensato andare dietro alle reali esigenze, piuttosto che agli strumenti, utilizzando il meccanismo della concertazione e condivisione dei percorsi? 4. E’ necessario capire come si dà coerenza complessiva alla proposta di AMP. Mi spiego meglio: non si può pensare di proteggere il mare senza porsi in maniera seria il problema della depurazione. Si ritiene pertanto necessario accompagnare l’iter di istituzione delle aree marine protette con un progetto di riqualificazione e tutele ambientale, finalizzato allo sviluppo di un efficiente sistema di trattamento delle acque reflue, considerato che esistono ancora comuni che non sono dotati di depuratori, ma solo di impianti di trattamento primario con successivo scarico a mare con lunghe condotte sottomarine. Su questo nessuno si può “sfilare” e si richiede da subito la massima collaborazione, anche in termini finanziari, al Ministero dell’Ambiente, all’Assessorato all’Ambiente della regione Toscana, all’ATO 5. 5. Questione fondamentale è poi quella della partecipazione dei cittadini alle scelte. Considerata la rilevanza del tema, sia per quanto riguarda in prima istanza l’utilità della istituzione delle aree marine protette quale strumento per l’affermazione di un nuovo modello ecosostenibile di sviluppo, sia per quanto riguarda le possibilità di fruizione del territorio in ragione anche di consuetudini e modi di vita che caratterizzano la società locale, l’Amministrazione comunale ha ritenuto necessario procedere in due direzioni. In prima istanza ha convocato un’assemblea pubblica (a cui hanno partecipato circa trecento persone) ove spiegare i contenuti della proposta formulata dal Ministero, ipotizzando alcune soluzioni in materia di perimetrazione, zonizzazione e normazione, per raccogliere considerazioni e suggerimenti da parte dei cittadini, molti dei quali peraltro sul mare vivono, del mare conoscono molto, al mare sono intimamente legati perché hanno ben presente che la qualità del mare è presupposto, diremo praticamente imprenscindibile, per il loro sostentamento, ovvero risorsa essenziale non depauperabile. In seconda istanza si è tenuto un Consiglio Comunale aperto, alla presenza anche del presidente del PNAT Mario Tozzi, nel corso del quale le forze politiche hanno potuto esprimere il loro orientamento, a cui ha fatto seguito un ulteriore consiglio comunale straordinario. Alla consultazione ed informazione hanno fatto seguito infine alcuni contributi, formulati con lettere, documenti, planimetrie che singoli cittadini o associazioni hanno trasmesso all’Amministrazione per rendere esplicita la propria posizione. Ritengo che queste energie che vengono dal basso non vadano disperse e che il coinvolgimento dei cittadini rispetto alle scelte finali sia fondamentale. E’ chiaro che la proposta di improbabili referendum (referendum poi rispetto a quali proposte, visto che siamo in una fase di concertazione e confronto?) è strumentale, ma non costruire comunque una forma di consultazione ampia dei cittadini e delle loro rappresentanze sulle scelte finali sarebbe sbagliato e per me politicamente ed eticamente inaccettabile. Quanto asserito finora deve ovviamente essere considerato solo un tentativo di non avvitarsi in un dibattito ideologico, un punto di vista, un modo per provare a riannodare il filo dei ragionamenti. E mantenere un atteggiamento responsabile ed ispirato al buonsenso è l’unica opportunità di definire una sponda per proseguire in un dialogo che si ritiene essenziale per pervenire ad una soluzione concertata e fatta propria dalla società locale, che forse per la prima volta, potrà sentirsi in questo modo protagonista positiva del governo delle risorse e non destinataria di decisioni assunte da altri.


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