Cara prof., ieri era veramente un giorno di giugno appiccicoso, come succede sempre per gli scrutini. Per me è stato uno degli ultimi stress, prendere la nave per l’ennesima volta, e venire in quella scuola del “Continente” a decidere le sorti di 20 studenti. Ma ne è valsa la pena. Per te. Ti ho visto con le lacrime agli occhi, circondata da alcuni colleghi, e non ho osato chiederti niente. Poi, quando ti sei rivolta a me salutandomi, non ho potuto fare a meno di dirti se andava tutto bene. Mi hanno risposto le tue lacrime, e le tue parole di professoressa già nonna, con vent’anni di servizio. “Odio giudicare i ragazzi, è la parte più dolorosa”. Poi ho capito. Nel precedente scrutinio avevi fatto del tuo meglio, ma non eri riuscita ad evitare la seconda bocciatura consecutiva di un tuo alunno. Sarà un lavativo di sicuro, non lo conosco, ma hai ragione te “i ragazzi non sono numeri o medie matematiche”, i ragazzi non sono mai lavativi fino in fondo. Si dice malissimo della scuola, ed a ragione E’ vecchia, povera, sorpassata, incalzata da altri mille modi più stimolanti di imparare. E’ repressiva e caotica in maniera direttamente proporzionale. E’ noiosa da morire, calpesta la fantasia. Tranne in rari casi virtuosi. Ti ho ascoltato in classe per alcuni momenti mentre spiegavi storia ed italiano. Ti avrei ascoltato all’infinito, le tue lezioni sono viaggi, sogni, scalate. Per questo i tuoi scrutini non possono essere numeri, ma lacrime. Non saresti la prof che fa mettere le ali, che lascia il cuore e la merenda sulla cattedra , a disposizione di tutti, che fa pensare venti testoline, sottraendole alla devastazione delle tv commerciali. Ecco qual è il prezzo che deve pagare oggi la scuola, nelle condizioni in cui è, per tentare di non essere travolta da tutto il resto. Una passione fuori dal comune, ed il coraggio di una professoressa con i capelli grigi di piangere, davanti a tutti i colleghi, per un ragazzo perduto, fatto fuori da una calcolatrice.
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