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A Sciambere della sinistra che s'interroga nel mirino di Tiro Fisso

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 08 giugno 2007

"............non possiamo procedere allo scioglimento delle nostre file e partecipare alla costruzione di un nuovo soggetto politico senza interrogarsi su ciò che al fondo è la vera giustificazione di un nuovo partito.................Il dramma è l'impotenza, la frammentazione, l'incapacità a decidere. E' il fatto che alla assemblea annuale di quella che, dopotutto, è una associazione di categoria, la Confindustria, sono accorsi 15 ministri. E per sentirsi prendere a pernacchie. Che pena". ( E per soprammercato, aggiungiamo noi, con Fassino che ha chiamato le pernacchie "una salutare sferzata"). "Resto convinto -dice ancora Reichlin- che il problema che ci sfida è tale per cui la forza della destra è certo notevole ma, al fondo è effimera, è corporativa. Però alla condizione che noi, invece di inseguirla, la sfidiamo sul terreno dello Stato, cioè dello stare insieme degli italiani.....". Così Alfredo Reichlin su L'Unità di oggi. Caro direttore, ti ricordi la barzelletta di quello che casca dal decimo piano e, con la gente accorsa tutta intorno che gli domanda: ma che è successo? Lui candidamente risponde, spolverandosi un pò e scrollando le spalle: sonasega! Sò arrivato ora! Fra Reichlin e la barzelletta c'è soltanto una piccola differenza: dov'era Reichlin quando si teorizzava ( e lo si fa ancora) la necessità di lasciar libere "le dinamiche autonome dell'economia"? O che 'un se n'è accorto, Reichlin, che è stato fatto un congresso, ora ora, per tornare a chiedere che "occorre interrogarsi (sic!) su ciò che al fondo è la vera giustificazione di un nuovo partito"? O che 'un se n'è acorto, Reichlin, che la risposta a quell'interrogativo è stata data ed è diametralmente opposta alla sua? Che cioè, i vecchi e nuovi dirigenti, a torto o a ragione, sfidano la destra non già "sul terreno dello Stato, cioè dello stare insieme degli italiani...", bensì sul fare ( sic!) la "rivoluzione liberale" (che i giovani dirigenti -si fa per dire- hanno scoperto ora tanto da chiamarla "Il nuovo")? Leggo anche, su Repubblica, che all'incontro romano degli aderenti alla rete "Incontriamoci" (l'associazione nata a margine della fabbrica del programma) alla domanda "i vecchi quando se ne vanno"? sono scrosciati applausi. L'invito era stato fatto da un sessantottenne! Con i giovani che frignucolano perchè vogliono entrare e sembrano quel bimbo che implora "mamma, mamma, fammi essere autonomo". Qualcuno ha anche affermato: "siamo stufi dei mandarini"! C'è mancato poco che l'intervento appresso non abbia precisato: vogliamo le arance! E Segni ( Mariottto, si! Quello che stava in carovana con Occhetto) che interpreta la gente ( arisic! ma anche sob!) e dice: "la gente ha voglia di cambiare"! Francamente, in una società così frammentata come dice il Censis, è dura parlare a nome della gente. E tuttavia, ci scommetterei ( ma questo è solo il mio punto di vista), su un punto è molto probabile che la gente abbia un idem sentire (come avrebbe detto Natta): si è semplicemente rotta i coglioni di un nuovo e di una modernità che sistematicamente la rimanda dalla padella alla brace e ritorno! Dicevo nel mio ultimo intervento che fra un riformismo senza orizzonte e un radicalismo che si oppone al nulla, quel che manca è una sinistra di progetto ( e dunque un progetto per la sinistra). Intendiamoci, non credo che sia un bisogno che viene dalla "gente", come si dice. Neanche da quella che vota a sinistra. Presumibilmente la gente chiede di poter tornare a fare progetti per se. Ovvero di tornare a guardare al futuro con un po’ più di fiducia. Ma la risposta, appunto, non sta nel non disturbare le dinamiche autonome dell'economia e neanche quelle della società. La sommatoria spuria di queste dinamiche ( ovvero, quello che sta esattamente facendo questa politica marketing) ha come risultato quello che vediamo sotto i nostri occhi e che denuncia Reichlin: impotenza, frammentazione, incapacità di decidere! Per permettere alla gente di poter tornare a fare progetti per se, occorre, appunto, che la sinistra ne abbia uno e su quello, non su altro, si giochi il consenso e, se ne è capace, costruisca la sua egemonia. Ma il liberalismo, quale che sia il giudizio che se ne dà, è esattamente la quintessenza dell'antiprogetto. Scambiare progetto con liberalismo è un errore così marchiano che può fare solo chi è stato selezionato per comandare senza che gli sia stato spiegato l'onere di studiare.


Mirino

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