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A Sciambere della storia buffa, di Giovannino del Volterraio

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 29 maggio 2007

Correva l’anno 1986, era l’inizio dell’estate e quattro giovani di belle speranze (io, il Meoni, il Cilli e il Nassi), terminato l’anno scolastico si apprestavano a trascorrere l’ennesima notte brava per le lande isolane. La novità del momento era il passaggio alle quattro ruote, la tanto sospirata macchina di cui io, il più anziano del gruppo, valicata da pochi mesi la soglia della maggiore età, avevo preso possesso. Oddio, chiamarla macchina era un parola grossa. Trattavasi di una Renault 4 del ’69, comprata da Bastiano a 500.000 lire, e pagata con banconote da 100.000, 50.000, 10.000... e gli ultimi spiccioli del salvadanaio per arrivare al totale. Ma si sa che a 18 anni le disponibilità finanziarie non sono molte. Bastiano era lì pronto a farci il pacchetto: “Fermo, la compro io!”. Era una macchina modello “Flinston”, ovvero con la scocca sfondata dalla parte del passeggero anteriore, e coperta penosamente con delle tavole di legno volanti. Ma tant’è, l’ebbrezza del grande salto che segna in qualche modo il passaggio dall’adolescenza alla maturità, dal motorino all’automobile, aveva il suo fascino e tutte le sere la vecchia Renault 4 era a pieno carico. “Dove gliela mollamo stasera?” “Pe’ la calata ci siamo sempre, a Campo ci siamo stati ieri... e se s’andasse al Cavo?” “Sì, un po’ più in là!” “Dice c’è un giro bono” “O andamo, giù”. Sosta al distributore, 1000 lire di benzina per uno (“Oltretutto che ci metto la macchina, volete anche viaggià a sbafo?”) e via verso l’ignoto. Dopo i primi metri della salita del Volterraio, il mezzo cominciò ad arrancare, e si levarono i primi commenti ironici dei miei compagni di viaggio. “Ma ce la farà questo baroccio a fa’ la salita?” “Secondo me conveniva passà da Porto Azzurro.” “O se ci se ne stava a casa unn’era meglio?” “Tranquilli, un cè problema, n’ha passate di peggio!”. Ma la mia sicurezza ebbe dei cedimenti quando si accese la prima spia sul cruscotto. “Oh, s’accesa una spia rossa, cosa sarà?”. Il Nassi, esperto di motori, affermò in tono rassicurante: “Un’è nulla, dipende dalla salita”. Si accese un’altra spia, quindi una terza, il cruscotto era un albero di Natale. “Oh, qui fondo tutto, io mi fermo!” “Ma sei di fori? In cima al Volterraio?”. Era circa mezzanotte. “No dai, un voglio mica rischià di fonde tutto, mi fermo” e accostai in un piccolo spiazzo, appena prima della sommità del Volterraio. “E ora che si fa?” “Deh, si torna a Portoferraio in autostop!”. Scendemmo nel buio della strada recitando un bestiario di moccoli. “Vainculo a questo troiaio di macchina!” “Intanto ci voi sempre salì”. Lo scoramento era pari solo al giramento di coglioni. “O chi voi che passi a quest’ora?” “E se per caso passa qualcuno voi che ci carichi?” “E se anche ci volessero caricà, ci vole un pulman per portacci tutti e quattro!” “Dai, dividiamoci a due a due” “Sì, e te pensi che ti pigli qualcuno, eh?” E così formate le coppie (io e il Meoni, il Nassi col Cilli), nel più profondo sconforto, ci rassegnammo ad alzare il pollice e ridiscendere lemme lemme fra le curve strette e buie. “Deh, o se appare il fantasma della principessa?” “O vai in culo vai, te e la principessa. E ciò anche rimesso le 1000 lire di benzina!” Ma l’angelo custode che veglia sulle fave lesse ci aiutò e incredibilmente, dopo pochi minuti, prima il Nassi e il Cilli, quindi io e il Meoni trovammo due anime buone che ci imbarcarono. Raccontata la disavventura al nostro soccorritore, questi mi ammonì sul rischio di abbandonare l’auto di notte in quella zona, il territorio del “pastore”. Correvano voci tremende su questo pastore, c’era persino chi giurava che nelle notti di luna piena si trasformasse in lupo mannaro. “Ora giù, un penso che s’attacchi a quel troiaio di macchina”. “Deh, no!” mi rispose l’uomo che ci aveva imbarcato, mentre stavamo rientrando a Portoferraio. “Vedrai se la lasci lì domani ce ne trovi due!”. Turbato da queste parole e colto dal panico, al rientro a Carpani mi tormentavo su come poter recuperare la macchina al più presto, prima che il pastore la saccheggiasse. Il Meoni propose: “Dai, lo dico al mì babbo, ci porta lui lassù, si legano le macchine con la corda e lui ti tira.” Erano le due di notte. “No, dai, che vai a quest’ora a rompe i coglioni al tu babbo...” Entrammo in casa di Mauro in punta di piedi. “Aspetta che lo vado a sveglià”. Mi attendevo da un momento all’altro un colpo di “Ma ve n’andate in culo voi e la macchina!”, invece Giovannino uscì dalla camera un po’ insonnato ma con il suo consueto sorriso mite, da uomo buono. Per il figlio avrebbe fatto questo e altro, montammo sulla sua macchina e ci portò in cima al Volterraio, benché dopo poche ore avesse dovuto alzarsi per andare al lavoro, mentre io e Mauro non avendo un cazzo da fare avremmo dormito fino a mezzogiorno. Giunti sul posto provai a mettere in moto, la macchina partì e ridiscesi piano piano, con Giovannino e Mauro dietro pronti a intervenire. Le spie erano ancora accese, ma il problema, come potei constatare il giorno dopo, era una banale cinghia rotta, e riuscii a tornare a casa senza problemi. Ringrazio Giovannino per l’ultima volta, adesso che è volato nel Paradiso gucciniano “in tutto somigliante al solito locale, ma il bere non si paga e non fa male”, e ci guarda dall’alto con il suo sorriso buono.


volterraio 1

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