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Alessandro Giannì "uno di quelli che pretende" di salvaguardare le risorse marine Il responsabile italiano della campagna mare di Greenpeace nella polemica marcianese L'occasione per riportare la vera posizione di Greenpeace sulle A.M.P.

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 13 aprile 2007

Mio malgrado, durante il mio soggiorno di Pasqua a Marciana, sono stato coinvolto nella nota polemica sulle “cartine del Parco Marino” dell’Elba. Mi è capitato infatti di passare davanti ad un bar e di essere additato al pubblico ludibrio come “uno di quelli”. Entrato nel bar ho notato un paio di cartine dai colori più o meno sgargianti affisse alle pareti: un locale amministratore (il Sig. Ricci) mi confermava che le cartine erano state inviate dal Ministero dell’Ambiente al Comune di Marciana che le ha debitamente protocollate. Ho fatto presente che una delle cartine (invero quella coi colori più vivaci) mi pareva un po’ datata… e il resto lo ho letto sui giornali, il giorno dopo. Siccome nell’occasione mi sono state rinfacciate in modo più o meno velato posizioni di Greenpeace che non mi risultano (e dire che sono responsabile della Campagna Mare di Greenpeace in Italia…) vorrei riassumere qui il nostro punto di vista sulle aree marine protette. Con una proposta. Che il mare non stia messo bene, e che ci sia bisogno di una fitta rete di aree marine protette, è stato detto non da Greenpeace, ma dai Governi del Pianeta in varie occasioni: dal World Sustainable Summit for the Development (WSSD, Johannesburg, Sud Africa, 2002) alla VII Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Biodiversità (Kuala Lumpur, Malesia, 2004). Per la precisione, entrambi i consessi hanno affermato che entro il 2012 deve essere messa a punto una rete di riserve marine globale. Mi risulta, per inciso, che all’epoca l’Italia fosse rappresentata da un Governo diverso dall’attuale. In scala locale, all’Elba come altrove, occorre individuare le specifiche cause di degrado degli habitat marini e quindi tarare gli strumenti di tutela, aree protette comprese, per contrastare efficacemente le minacce alla salute del mare. All’Elba, per la mia modesta esperienza e frequentazione (sopra e sotto l’acqua) mi pare che i principali fattori “locali” d’impatto siano un eccessivo prelievo di pesca (con impatti diretti ed indiretti sulla struttura delle comunità biologiche), gli scarichi da terra (in particolare per l’immissione di nutrienti e quindi possibili effetti distrofici), la manomissione della linea di costa (costruzioni di vario tipo che alterano gli equilibri sedimentari generando vuoi erosione o, al contrario, input sedimentari che ricoprono i fondali di detrito) e le conseguenze di attività del turismo in mare (dagli scarichi delle imbarcazioni ai danni causati dagli ancoraggi o da sub a volte poco esperti, a volte… anche troppo esperti). Ho l’impressione che il dibattito sull’area marina protetta (non solo all’Elba) si sia focalizzato forse troppo sull’attività della Pesca e faccio notare che è difficile chiedere ai pescatori di fare i bravi quando, che so, ci sono condotte che stanno da anni a marcire in acqua senza essere raccordate con le fogne, la depurazione lascia a desiderare, si continuano a gettare ancore sulla posidonia, ecc. Mettere la croce addosso ai pescatori non mi pare né utile, né corretto. Facciamo tutti la nostra parte. La Pesca è un comparto in una situazione delicata, che dovrebbe sfruttare al massimo l’occasione che gli è offerta dall’istituzione di un’area protetta in mare. I dati scientifici, al riguardo, sono piuttosto chiari. Per ottenere il massimo di “estrazione sostenibile” di risorse da un ecosistema marino occorre che il 40% della superficie sia esclusa dal prelievo (e che nel restante 60% si peschi bene). Si tratta di valori teorici che però ci dicono che aree “no-take” (per intenderci, come lo Scoglietto di Portoferraio) troppo piccole hanno effetti locali ottimi, ma non risolvono i problemi della Pesca. Anche questa è una scelta che bisogna fare insieme: per primi, dovrebbero essere i diretti interessati (i pescatori) a proporsi come gestori del mare, limitandosi ad una pesca più fruttuosa (ed organizzata) solo in una parte del mare dell’Elba. Se non sbaglio, ci sono ancora i fondi UE per gli indennizzi per la chiusura di aree di pesca. Vogliamo provare ad usarli? Un problema ben noto è che la norma nazionale delle aree marine protette vincola in modo discutibile e scientificamente immotivato divieto di pesca e divieto di accesso (nella cosiddetta “zona A”). E’ vero che ci possono essere aree dove è bene che la frequentazione umana sia ridotta al minimo, ma rendere le aree “no take” anche “no entry” ha solo la conseguenza di ottenere aree di riposo biologico minuscole ed inefficienti (per quel che sono gli interessi dei pescatori). Tra l’altro, succede spesso che queste zone A siano collocate dove “non danno fastidio a nessuno” e quindi, spesso, dove non c’è proprio niente da proteggere. E’ bene dire con chiarezza che questo accoppiamento contro natura (no take/no entry) è, più che inutile, dannoso. E sarebbe bello se all’Elba si cominciasse a progettare come superare queste limitazioni. E’ il caso di chiarire che le aree marine, anche quelle meglio progettate e gestite (e controllate!) non possono risolvere tutti i problemi. Ad esempio, perché esistono impatti diffusi come quelli causati dall’inquinamento, dalle specie aliene invasive (molti fondali dell’Elba pullulano di Caulerpa racemosa) e dal cambiamento climatico. D’altra parte, ecosistemi in salute resistono meglio a questi impatti. Su questo versante, un aiuto all’Elba potrebbe darlo il Santuario dei Cetacei, inteso come area vasta in cui sperimentare approcci innovativi all’uso e alla tutela del mare. Ad esempio, nel Santuario si potrebbero mettere a punto sistemi di controllo per evitare che le petroliere sciacquino le cisterne gettando a mare il catrame che periodicamente approda sulle spiagge dell’Arcipelago. Purtroppo, al momento il Santuario è piuttosto inteso come cartolina per attirare i turisti e siamo al punto che in quest’area marina protetta si intende far sorgere la prima area marina industriale, il rigassificatore offshore di Livorno. Infine, visto che ho accennato allo Scoglietto di Portoferraio, una proposta. Lo Scoglietto dimostra che la protezione del mare rende. Vale la pena chiedersi quanto vale quella cernia che può essere vista migliaia di volte rispetto a quella che può essere pescata, e mangiata, una volta sola. Allo Scoglietto ogni anno ci vanno (ci andiamo) migliaia di sub. Sono migliaia di ancore gettate su quei fondali. Da subacqueo, so che la nostra presenza di visitatori deve essere discreta ed educata: all’Elba per fortuna non mancano guide subacquee preparate e sensibili ai temi del rispetto e della protezione dell’ambiente. La proposta, che mi sono già permesso di presentare ad alcuni degli interessati, è questa: perché non realizziamo allo Scoglietto una serie di ormeggi per le imbarcazioni dei Centri d’Immersione, per limitare l’impatto delle ancore sul fondale che ci interessa proteggere? E’ un appello rivolto a tutti gli amici del mare, ai diving, al Comune di Portoferraio, alla Capitaneria di Porto e all’Ente Parco. L’ammiraglia di Greenpeace, la Rainbow Warrior, sarà all’Elba tra la fine di luglio e i primi di agosto. Potrebbe aiutare a posare in modo delicato e preciso i corpi morti per questi ancoraggi. E’ un’occasione che Greenpeace offre all’Elba, cui deve molto. Un piccolo segnale, ma concreto, di amore per il nostro mare. Chi ci sta?


Foto sub grotta

Foto sub grotta

foto sub pesce rosso

foto sub pesce rosso

foto sub polpo e anemone

foto sub polpo e anemone