Caro Rossi, parto dall’intervento, qualche giorno fa, di Cesare Sangalli, molto interessante e a anche molto bello, e da altre sollecitazioni dei giornali di questi giorni –l’A sciambere, di sabato, e un paio di Amache di Michele Serra su “Repubblica”, per qualche riflessione sulla situazione politica italiana in questo difficile frangente. Direi che l’accusa mossa da Berlusconi alla maggioranza, di star comprando senatori per la fiducia al Governo, rappresenta benissimo il livello della nostra cultura. Infatti, se un uomo certamente attento come il Cavaliere ha parlato così, è perché era certo che nessuno gli avrebbe ricordato che l’altro ieri un Tribunale della Repubblica aveva condannato il suo avvocato Previti per aver comprato la sentenza di un giudice, permettendogli di impossessarsi del più grande gruppo editoriale italiano (alla faccia del mercato e della concorrenza). Scrive Serra: “Perché oramai tutto ci arriva come l’eco di una lontana rissa, come lo strascico di una faida che non ha vincitori né vinti, non ha ragioni né torti. Dieci anni abbondanti di urla contro le ‘toghe rosse’, di delegittimazione della legge e delle leggi, di campagna giornalistica, politica e culturale contro l’etica della legalità, e in favore dell’etica lasca e furba dell’abilità imprenditoriale, hanno lasciato il segno”. Infatti la sentenza è di un altro giorno, è ‘ormai’ un fatto ‘superato’: e oggi, sui giornali, nessuno della maggioranza glielo rinfaccia, preferendo generici riferimenti a buoi e ad asini cornuti, o a ‘terribili’ “senti chi parla”. Con lo stesso procedimento è nata la crisi di governo: la manifestazione di Vicenza restava, come si dice, “di base”, nessuno aveva potuto metterci il cappello. E allora due anime candide hanno pensato di fare del popolo di Vicenza un pezzo del movimento e di assumerne la rappresentanza parlamentare: “Purtroppo per loro –scrive Scalfari– i movimenti ideologici non si sentono affatto rappresentati dai loro partiti nelle Istituzioni per la semplice ragione che delle istituzioni se ne infischiano totalmente. Quanto ai movimenti territoriali, a Vicenza erano ben contenti di avere in corteo due segretari di partiti nazionali perché, come dice Chiambretti, in tivù tutto fa brodo: ma la caduta del governo Prodi non è affatto piaciuta alla grande maggioranza dei Vicentini di centrosinistra”. I nostri due eroi hanno così ‘rappresentato’ in Parlamento il dissenso di Vicenza. Ma non hanno pensato che sarebbe caduto il governo. Scrive ancora Serra: “Si capisce, uno ha tutto il diritto di coltivare i suoi ideali integerrimi... Uno ha tutto il diritto di rivendicare purezza e coerenza, così non si sporca la giacchetta in quel merdaio di compromessi e patteggiamenti che è la politica. Però, allora, deve avere l’onestà morale di non fare parte di alcuna coalizione di governo. E deve dirlo prima, non dopo. Deve farci la gentilezza di avvertirci prima, a noi pirla che abbiamo votato per una coalizione ben sapendo che dentro c’erano anche i baciapile, anche i moderatissimi, anche gli inciucisti. A noi coglioni che di basi americane non ne vorremmo mezza, ma sappiamo che se governano gli altri di basi americane ne avremo il triplo. Invece no: questi duri e puri se ne strafottono della nostra confusione e della nostra fatica”. Eppure non ci vorrebbe tanto a capire: se solo si sfuggisse dalla trappola tipica del linguaggio televisivo, che brucia tutto in un momento di spettacolo, e poi si spengono le luci e si resta al buio. Dice ‘A sciambere’: “Se per caso ci fossimo trovati anche noi su un treno che forava una notte italiana; se per caso ci si fosse parato davanti uno di quella scarsa e sporca mezza dozzina di inflessibili, irriducibili ‘pacifisti’ che per un quarto d’ora di pubblicità hanno fatto cadere un governo del popolo italiano mai così strappato con le unghie e con i denti ai padroni, ai guerrafondai, ai più proni tra i servi di Bush; …forse saremmo riusciti a fare sì che le nostre mani non gli recassero offesa. Ma un calcio nel culo non glielo levava nessuno”. Intanto però l’abbiamo preso tutti noi. Poi, è vero, apparentemente non è successo nulla: “E’ caduto Prodi, viva Prodi” scrive Sangalli. “Anche se la politica in Italia è sempre capace di stupire, è difficile pensare che si vada a elezioni anticipate. Né ora, né fra un anno. La classe politica TUTTA è clamorosamente impreparata alla sfida che si trova di fronte. Rincorre affannosamente i tempi, è sempre in ritardo sulla storia, anche quella con la ‘esse’ minuscola. Le elezioni ora o fra 12 mesi non sono un suicidio per il centrosinistra, sono un suicidio per l’Italia”. Ma ciò che accade in queste ore non sembra partire da questa consapevolezza: certo, la scadenza parlamentare è vicinissima, e non permette voli; ma il dibattito sembra piuttosto strisciare per terra. Dice ancora Sangalli: “Be’, siamo veramente stanchi delle parole. Le parole della politica italiana sono vuote, gusci di identità perdute. I ‘comunisti’ sono da trent’anni socialdemocratici, ma guai a dirselo... Ma veramente c’è qualcuno di voi che si riconosce in Ruini? ma davvero c’è un cattolico che si sente rappresentato da Albertosordi Rutelli… Ma davvero ci strappiamo le vesti sui PACS?... In quarant’anni la politica in Italia è andata molto indietro. La Chiesa italiana ha fatto altrettanto”. Io credo che il problema sia riassumibile in una triste –per me– conclusione: ho sempre pensato che l’Italia fosse un Paese ‘democristiano’, per come la storia ci ha insegnato a conoscere il senso di quell’aggettivo. Quasi quindici anni di berlusconismo –di una cultura che si esprime nella nostra tv, da Costanzo al Grande fratello o le Isole varie, passando attraverso il ciarpame di una informazione sempre più modellata sui ‘serial’ e sui rotocalchi di cronaca– hanno trasformato il popolo dei mercanti che hanno fatto il Rinascimento in un “mercatino” nel quale tutti si sentono compratori e venditori allo stesso tempo, e tutti vogliono impersonare la figura del Grande Venditore che a sua volta si presenta come uno di loro –con un’infinità di soldi in più, che però non costituiscono una differenza ma rappresentano una speranza–. La pochezza dei desideri fa sentire tutti ‘arrivati’, e trasforma tutti in conservatori, anche se da conservare non c’è che la miseria di quattro bucce. La Sinistra istituzionale, radicale o riformista (mi perdoni Sangalli), ha smesso di guardare lontano nel tempo e nello spazio, ha smesso di elaborare progetti e modelli ‘alternativi’, e si limita, nei casi migliori, a una resistenza passiva sterile se non patetica, fatta di rituali fuori moda –le ultime BR non incanterebbero neanche Peter Pan–. La Chiesa è persa dietro un ruolo improprio e umiliante di amministratore di condominio, lasciando prosperare divismo e culto della personalità in un rutilare di suoni e colori che trasformano sempre di più i pellegrini in turisti, con tanto di bravi ‘animatori’. Ci sarebbero i ‘movimenti’; ma tutti cercano di dar loro voce, e nessuno li sta a sentire. Per uscirne non servono le spallate care ai massimalisti bambini di tutti i tempi. Sono più utili spostamenti anche piccolissimi, ché nessuno se ne accorga e ne prenda paura: purché si cominci a ripensare a dove si vuole andare.
Luigi totaro