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Controcopertina: La vera crisi

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 23 febbraio 2007

E’ caduto Prodi, viva Prodi. Anche se la politica in Italia è sempre capace di stupire, è difficile pensare che si vada a elezioni anticipate. Né ora, né fra un anno. La classe politica TUTTA è clamorosamente impreparata alla sfida che si trova di fronte. Rincorre affannosamente i tempi, è sempre in ritardo sulla storia, anche quella con la “esse” minuscola. Le elezioni ora o fra 12 mesi non sono un suicidio per il centrosinistra, sono un suicidio per l’Italia. Sono andato a sentire Fassino qui a Foggia, una settimana fa. Il segretario dei DS ha ben chiara la situazione, a mio avviso. Non ha paura del futuro e dei cambiamenti, a differenza di tanti altri (troppi). Lui non sa “COSA”, a mio avviso, ma sa il “COME”. Non c’è nessuna vera grande distinzione fra DS e Margherita, in questo momento, per la pochezza (generale) dei contenuti, per la pochezza (generale) di idee. Non sarà certo Fassino a dare un’anima al Partito Democratico. Ma almeno lui si rende conto che questa non solo è una grande occasione per rinnovarsi: potrebbe essere l’ultima. Non a caso vuole istituzionalizzare le primarie come metodo, renderle obbligatorie nello statuto del nuovo partito. Fassino non è un populista, e sa che senza i partiti la politica non si fa. Ma sa anche che non si può continuare a fare politica con QUESTI partiti. Può darsi che l’occasione della creazione di un nuovo partito per rinnovare profondamente UOMINI e MODI di fare politica in Italia venga sprecata clamorosamente; i segnali ci sono tutti, e dopo anni di operazioni di facciata la sfiducia nei nostri dirigenti è tanta. Diciamo che mi fido di Fassino sul come. Il cosa glielo dovrà dire qualcun altro. Ma l’ultima intervista di Fabio Mussi a “Repubblica” è davvero deprimente, anche se significativa. Mussi non vuole il Partito Democratico, lo considera un abbandono del “buon vecchio partito”, rispolvera addirittura l’unità di tutte le sinistre, da Rifondazione a Boselli, rendendo ancora più vuota la sua posizione. Si guarda bene, ovviamente, di parlare di contenuti, di fissare una sorta di “linea Piave del Buon Progressista” oltre la quale non si può accettare di andare. E’ solo preoccupato che possano sparire le parole “socialista” e “sinistra”. Be’, siamo veramente stanchi delle parole. Le parole della politica italiana sono vuote, gusci di identità perdute. I “comunisti” sono da trent’anni socialdemocratici, ma guai a dirselo. Figurati se accettano che “comunista”, per chi sa qualcosa di storia e di politica, è solo un aggettivo, oggi. Niente di più e niente di meno. Altrettanto ridicola è la definizione di “ sinistra radicale” o peggio ancora “massimalista” (termini da scissione del 1921, da Turati contro Bordiga). Sfido chiunque a citare una sola proposta di Rifondazione o PDCI (o sinistra DS) davvero “radicale”, in questi 9 mesi. Forse la proposta di legge Amato-Ferrero sull’emigrazione? Soltanto una buona legge, che diventa una perla di illuminismo solo se paragonata alla famigerata Bossi-Fini. Abbiamo sentito qualcosa di radicale, di sinistra, sul conflitto di interessi, sull’enormità del potere di uno (il signor B., come lo chiama il suo grande accusatore, l’insigne Franco Cordero) che trent’anni fa la sinistra “radicale” avrebbe definito un “padrone con chiare tendenze fasciste”? Niente di niente. Se le parole fossero associate alla realtà, in questo paese deviato, si riconoscerebbe che i “comunisti” hanno fatto una politica che si può solo definire “moderata”. Giusto o sbagliato, dipende dai punti di vista (per me sbagliato, almeno su certi temi). Mussi non crede nel Partito Democratico? Benissimo, crei unità da qualche altra parte, stabilisca con gli altri (Diliberto, Giordano, Pecorario Scanio, Dario Fo, Beppe Grillo, i movimenti, Occhetto, insomma tutti quelli che ci stanno e qualcuno di più) che cosa significa essere autenticamente di sinistra in Italia, in Europa e nel mondo, nel Duemila. Io parteciperei volentieri, e forse mi sentirei più a casa che non nel Partito Democratico. E qui l’appello (e la critica) volge lo sguardo più che ai DS (una “parrocchia” che conosci meglio te, Sergio) ai famosi “cattolici” cui credo di appartenere: ma veramente c’è qualcuno di voi che si riconosce in Ruini? Ma davvero c’è un cattolico che si sente rappresentato da Albertosordi Rutelli (e gentile compagna, un insulto al giornalismo)? Ma davvero ci strappiamo le vesti sui PACS? Io, da cattolico, sarei più preoccupato del “..liberalismo senza freno (che) porta alla dittatura…dell’imperialismo internazionale del denaro”. Il virgolettato non è di un comunista, o sinistrorso “massimalista”. E’ un passaggio dell’enciclica “Populorum Progressio” di Paolo VI., datata 1967, un anno prima delle rivolte sessantottine. In quarant’anni la politica in Italia è andata molto indietro. La Chiesa italiana ha fatto altrettanto. Forse è il caso che i nostri leader comincino a dire come vedono i prossimi dieci, vent’anni. Oggi, nel 2007, anche “cattolico” rischia di diventare un aggettivo privo di contenuti. Come “comunista”, “socialista”, “moderato”. Tutte chiacchiere e distintivo.


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