L’altro giorno leggevamo di una polemica fra i Consiglieri provinciali Amadio di AN e Giannoni di PRC, in coda al Consiglio del 10 febbraio. Amadio dice: “Sarebbe dunque auspicabile che il Presidente della Provincia Kutufà censuri il comportamento del Consigliere Giannoni”, e puntuale il chiamato in causa stigmatizza: “Ho letto le dichiarazioni della Amadio e credo non meritino più di tanto (salvo consigliarle un ripasso della consecutio temporum)”. Il riferimento pare alla violazione della norma di ‘consecutio’ “sarebbe auspicabile”/“censuri”; ma non ci sembra l’errore più grave. Dice l’Amadio: “La storia non deve e non può essere al servizio delle ideologie e tutta la sinistra dovrebbe recitare un ‘mea culpa’ e non continuare a giustificare i partigiani titini che trucidarono gli Italiani soltanto perché tali”. Ora, le due parti di questa affermazione sono in palese contrasto, perché Amadio con la seconda smentisce la prima. Infatti la tragedia di coloro che furono trucidati e occultati nelle foibe in Istria è una pagina dolorosissima della storia della Seconda guerra mondiale, e non può avere alcuna giustificazione; ma con pesante intromissione ideologica è rivendicata dalla Destra come un proprio lutto, un proprio dolore, una propria bandiera, spesso invocata a bilanciare l’olocausto compiuto da nazisti e fascisti per motivi di razza, di etnia o di integrità virile. Sarebbe facile fare un confronto numerico, ma consideriamo la morte violenta di un solo uomo come assolutamente inaccettabile; però è ugualmente inaccettabile (“perché la storia non può e non deve essere al servizio delle ideologie”) che i morti istriani siano ‘morti di Destra’, anzi ‘i morti della Destra’, così come sarebbe ridicolo affermare che i morti nel Lager siano ‘morti di Sinistra’, o peggio ‘i morti della Sinistra’. I morti sono morti e nient’altro, e chi li ha uccisi è comunque colpevole di assassinio. La storia, poi, racconta che l’Istria diviene parte dello Stato italiano alla fine della Prima guerra mondiale, quando viene scorporata dall’impero austro ungarico (1922); vi vengono istituite due province (Pola e poi Fiume), e vi si insedia un apparato burocratico composto prevalentemente da personale italiano. Dal punto di vista degli istriani di etnia slava, che avevano lottato per l’indipendenza della loro terra dall’impero austro-ungarico, gli italiani sono degli ‘occupanti’, e i nuovi governanti non sono diversi dai governanti asburgici; si organizza una ‘resistenza’, e dopo l’8 settembre del 1943 i movimenti di liberazione iugoslavi, a direzione comunista, si insediano nell’Istria e iniziano l’epurazione degli ‘invasori’ italiani che avevano occupato la loro patria negli ultimi vent’anni. La ‘libertà’ dura un mese; e quando nell’ottobre 1943 i tedeschi riconquistano l’Istria e i partigiani slavi si devono ritirare, l’epurazione si traduce in centinaia di processi ‘veloci’, cioè sommari, con altrettanto sommarie condanne a morte e sommarie sepolture, appunto nelle foibe: quasi ovviamente si compì allora l’identificazione fra italiani e fascisti, e in questo i partigiani iugoslavi vollero vedere un ulteriore ‘ragione’, di natura politica (ma fino al settembre ’43 quasi tutti gli italiani erano fascisti, volenti o nolenti). Alla ‘riconquista’ tedesco/‘repubblichina’ seguirono rappresaglie nei confronti degli cittadini di etnia slava, cui furono imputate ‘ovviamente’ le epurazioni compiute dai partigiani nel settembre 1943: si narrano episodi di violenza inaudita, certo resi credibili dai metodi usati ovunque dai nazifascismi dopo l’8 settembre. Così, quando nel maggio-giugno 1945 gli iugoslavi di Tito ‘liberarono’ di nuovo la Venezia Giulia, ci fu un’altra ondata di epurazione: questa volta processi sommari ed esecuzioni riguardarono militari, poliziotti, collaborazionisti, spie, delatori catturati dopo la cacciata dei tedeschi; ma anche italiani partigiani del C.N.L., militari della Guardia di Finanza (non coinvolti certo nelle operazioni repressive dei nazisti), e partigiani slavi di orientamento filoitaliano e sloveni anticomunisti. Come nel dopo l’ottobre ’43 gli slavi erano stati tutti accusati delle repressioni compiute dai partigiani, così ora gli italiani, tutti accusati delle nefandezze dell’occupazione nazifascista, erano senza distinzione considerati nemici. Questa volta le esecuzioni sommarie furono migliaia, e migliaia le sommarie sepolture. Ma è difficile ascrivere questi morti delle foibe all’appartenenza fascista, perché la situazione in Italia era cambiata, e come è noto dopo il settembre 1943 gli italiani erano quasi tutti antifascisti (e molti, contemporaneamente, anticomunisti). In questo caso la ‘consecutio temporum’ della storia è utile come quella della sintassi. Insomma, se davvero “la storia non deve e non può essere al servizio delle ideologie”, nella vicenda delle foibe c’è poco posto per distinzioni di appartenenza politica o etnica: i morti dell’Istria, della Venezia Giulia sono morti e basta, morti tragicamente in un momento tragico, che è giusto ricordare per allontanare per sempre la tragedia della guerra poiché la follia della guerra è stata causa della loro morte. Fare di quegli sventurati eccidi un’occasione di cordoglio nazionale ‘italiano’, o peggio invocare improbabili diritti patriottici, è un’altro affronto nei riguardi di quei morti, e può solo riaprire antiche ferite ormai chiuse dal diritto internazionale. Farne occasione di rivendicazione postfascista è solo miserabile. La Primula Russa (noi no) www.isoladelba.splinder.com
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