Se si legge il libro di Roberto Saviano “Gomorra”, ci si rende conto come “il sistema”, cioè la camorra, sia un’organizzazione estremamente sofisticata, in veloce trasformazione, che fiuta le direzioni del mercato con sorprendente anticipo. Conforta allora sapere che all’Elba, con Marandino e associati, siamo dei principianti, ancora sprofondati nel giurassic park della mafia che opera con i ferretti arrugginiti e grossolani, e per questo facilmente individuabili. Se mafia deve essere che sia mafia naif, che assume pose e linguaggi tratti dal Padrino, in modo che tutti possano riconoscerla ed evitarla. L’ordinanza del tribunale del Riesame di Firenze che rigetta le istanze di scarcerazione di Marandino e soci, e ribadisce l'accusa di associazione mafiosa, è una interessante, e a tratti gustosa, ricostruzione del clima mafioso elbano, una pennellata giudiziaria sull’orizzonte insulare. Malavita del secolo scorso, ma non per questo da prendersi sotto gamba. Si parla infatti di quel che resta della Nuova Camorra Organizzata, soggetto ancor oggi mafioso di notevole livello, dopo la decimazione da parte della Nuova Famiglia di Carmine Alfieri, ma in Campania superata da altri clan più intraprendenti e permeabili al nuovo. L’endemismo elbano (non è la Salerno degli anni ’80 – si legge nell’ordinanza – ma l’Elba degli anni 2002-2006) è così descritto dal tribunale: “In definitiva deve dunque concludersi che in Portoferraio è stato concretamente speso il metodo di intimidazione mafioso volto a creare assoggettamento ed omertà, non essendo invece necessario che l’intera popolazione di Portoferraio fosse in condizione di assoggettamento ed omertà”. Il metodo seguito dagli associati “consta nella utilizzazione della intimidazione nascente dal vincolo associativo in se stesso nel senso che, anche se venissero individuati, perseguiti ed isolati gli autori delle singole manifestazioni di minaccia, resterebbe pur sempre l’incombente pericolo costituito dal permanere della società criminale costituita anche da altri affiliati rimasti liberi, ciò che crea nei soggetti passivi e dunque nel territorio condizioni di assoggettamento tali da rendere difficile l’intervento dei poteri dello Stato e da creare una diffusa omertà”. Se per Giovanni Marandino l’essere considerato un camorrista non è una sconvolgente novità – anche i suoi avvocati non possono contestare i suoi trascorsi con Raffaele Cutolo – anche la posizione della moglie, signora Ada, è assai compromessa. “Seppur si sia tentato di disegnarla come semplice donna di casa in là con gli anni e piena di acciacchi, succube in sostanza della forte personalità del convivente, emerge invece dalle conversazioni intercettate e dagli atti di indagine un ruolo ben attivo, consapevole e primario nel settore usurario, essendo ella persona che emette assegni, li incassa, tiene contatti con i clienti, consegna il contante, rimbrotta il marito se pratica un tasso troppo basso”. Il tribunal del Riesame si era pronunciato anche contro la scarcerazione di Claudio Brandolini, liberato due giorni fa su istanza del gip. In sostanza emerge un’isola a limitata sovranità mafiosa, ma pur sempre mafiosa. “Del resto – si legge ancora nella nota del tribunale della Libertà – diversamente opinando, si arriverebbe all’assurdo di individuare gli estremi del reato associativo mafioso solo quando la situazione di assoggettamento ed omertà ha ormai totalmente degradato l’ambiente locale, essendo invece che i tentativi di infiltrazione mafiosa al di fuori delle aree geografiche tradizionali siano individuati e troncati sul nascere”.
Marata 1 a Concia di terra