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Controcopertina: I moccoli elbani che divennero parte di una formazione accademica

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 24 gennaio 2007

Sono cresciuto nel Bronx, Manhattan, e nella provinciale contea di Westchester, figlio di genitori di origini irlandesi (sia Protestanti che Cattolici), tedesche e gallesi che dal Wisconsin si erano trasferiti ad est . Poiché nulla nel mio background lasciava supporre che sarei diventato in seguito un esperto di storia italiana o che avrei trascorso la maggior parte della mia vita in Italia, molti mi hanno chiesto come ciò sia accaduto. Credo che tuttora i miei genitori siano perplessi. E’ innegabile che molti miei amici d’infanzia fossero italiani, e ricordo splendidi pasti natalizi e pasquali a casa loro, con tavoli carichi di piatti di salsicce e di un tipo speciale di pollame, ‘salsicce’ e ‘faraona’ (cotti con limone e olive nere) acquistati da Manganaro, sulla Ninth Avenue, a Manhattan, e i pasticcini comprati in Arthur Avenue, nel Bronx. Mia madre era, ed è, un’attrice – una volta seguì un corso di recitazione con Frank Langella – e apprezzava molto le affettuose e numerose riunioni di famiglia dei nostri amici italiani, la maggior parte dei quali lavoravano nel mondo del teatro. Forse queste occasioni le ricordavano i picnic di quand’era bambina.. Nonostante conservi gelosamente queste piacevoli memorie della mia fanciullezza, non c’è un filo diretto che le colleghi alla carriera che ho scelto, quella di storico italiano. Piuttosto, fu un momento di contatto particolare, di altro genere, a spingermi su questo percorso. Accadde quando incontrai per la prima volta A. Bartlett Giamatti alla Yale University ed io ero appena una matricola. Il Professor Giamatti era stato invitato per parlarci della poesia epica… Giamatti fu designato subito dopo Presidente della Yale University, fino a diventare, prima della sua prematura scomparsa, Sovrintendente del Baseball. Dopo alcune esperienze nel giornalismo e nel mondo bancario, decisi che volevo essere, come Giamatti, uno studioso del Rinascimento. Tutto ciò sottindendeva molti sacrifici, non ultimo il tempo necessario per imparare le lingue (latino, greco, tedesco e francese, oltre l’italiano) richieste per ottenere buoni risultati in questo campo. Non ho mai rimpianto quella decisione, e il puro piacere intellettuale che scaturisce dallo studio dei grandi scrittori italiani, specialmente Dante e Machiavelli, è, per me, senza prezzo. Ma lasciando da parte il piacere intellettuale di studiare la storia italiana, sono stato fortemente coinvolto nel mondo italiano dopo un’esperienza avuta quand’ero ventenne, quattro anni dopo aver ascoltato la conferenza del Professor Giamatti. Benché ciò non avesse nessun legame con i pranzi di famiglia a cui ero invitato quand’ero ragazzo, certamente rafforzò quei ricordi in fondo alla mia mente. Nell’estate del 1980, quando mi ero appena laureato a Yale, accettai un lavoro estivo come giardiniere e bracciante in una fattoria sull’isola d’Elba. La fattoria per cui lavoravo apparteneva ad un professore americano della Johns Hopkins University, David Calleo. C’era un vicino, italiano, conosciuto solo con il suo cognome, ‘Talone’, che controllava la fattoria durante l’anno, ma ogni estate il Professor Calleo portava con sé tre o quattro studenti, che avrebbero svolto il vero lavoro pesante di occuparsi degli alberi di olivo, costruire muri e strade, ricavare terrazzamenti dal fianco della collina . Il salario per questo lavoro era basso in modo ridicolo- se ricordo bene copriva a malapena il prezzo del biglietto aereo – ed anche il proprietario iniziò a chiamare affettuosamente i suoi studenti ‘schiavi’. Ma ogni sera c’era un compenso più che adeguato, quando la moglie di Talone ci cucinava un pasto di cinque portate, usando tutti gli ingredienti e le arti di una buona massaia toscana, e la cena veniva innaffiata abbondantemente da un buon rosso toscano, portato dalla terraferma col traghetto. Il professor Calleo era (ed è) un uomo molto interessante ed uno scrittore distinto. Ma quell’estate, per me, l’insegnante più importante fu indubbiamente il fattore Talone, che un tempo lavorava nelle miniere di ferro (ora chiuse). Più che le lunghe disquisizioni politiche, ciò che apprezzavo maggiormente nelle mie conversazioni con Talone erano le nostre discussioni sul lavoro e rituali della vita di campagna. E’ stato allora che ho imparato che l’italiano è una lingua che si deve vivere, non solo leggere. In un certo senso imparai l’italiano un’altra volta. Così, un giorno, mentre stavamo scavando per una nuova fognatura, trascorremmo un’ora intera discutendo sulle diverse sfumature delle parole ‘fosso’, ‘buca’, ‘trincea’. Un altro giorno discutemmo sugli attrezzi agricoli – picconi, zappe, badili, asce, forconi… e dei verbi legati a ciascuno di essi. Naturalmente discutemmo di cibo: i sei modi di preparare le bietole (che è venduto in questo paese sotto lo strano nome di ''bietola svizzera''); la differenza tra ''susina'' e ''prugna'' (ognuna delle quali è un tipo di ''plum''); e ancora lezioni infinite sul modo di legare pomodori, con modi diversi di dire per descrivere i nodi e gli intrecci della corda usata. Un pomeriggio memorabile, Talone elencò un centinaio di modi diversi per bestemmiare la Santa Vergine – molti di questi li avrei più tardi ritrovati negli archivi criminali della Firenze del XV secolo, citati nei processi per blasfemia. Molta parte del linguaggio di Talone non può essere usato in presenza di una compagnia rispettabile. Ma la forza delle parole – apprezzata dai fiorentini rinascimentali come dagli italiani moderni – deriva dal loro essere vissute. Forse è per questo, retrospettivamente, che sembra importante che le lezioni fossero accompagnate da duro lavoro fisico. Ecco come ho imparato l’italiano. Sicuramente, per me, l’esperienza più importante fu imparare la lingua di Talone. William J. Connell *Il Dr. Connell è titolare della cattedra Joseph M. e Geraldine C. La Motta di Studi italiani alla Seton Hall University, dove dirige anche l’Istituto di studi italiani Charles e Joan Alberto. Dopo il college alla Yale University e il dottorato alla Berkeley University, in California, ha partecipato al programma di scambi Fulbright, ed è stato ricercatore della Giannini Italian-American Scholar, e Fellow alla Harvard University Center per gli studi sulla Italian Renaissance Studies in Firenze e membro dell’Institute for Advanced Study in Princeton. Tra le sue pubblicazioni: La città dei crucci, Florentine Tuscany: Structures and Practice of Power, e Society and Individual in Renaissance Florence. La sua nuova traduzione del Principe di Machiavelli, verrà lanciata questa estate. Per ulteriori informazioni sulla sezione New Jersey della Fulbright, si prega di contattare la dott.ssa Antoinette J. Messina-Pagano, President al numero 908-647-8366 FAX 908 647 7573 o visitare il sito www.fulbright.org/newjersey


William Connel

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