Una foto su una spiaggia allora deserta, un sorriso verso il basso, pudico nella gioia di vent’ anni o poco più. Il destino di là dall’obiettivo, il pennello abbozza un profilo di monti viola sulla tela a spaccare il cielo giallo di fine estate, a solcare il destino di chi ha deciso di amare fino in fondo, senza farsi scalfire, o invece sì, da quella che è l’essenza dell’altro. Un tremito, una vita, il carboncino che traccia un perimetro, un solco e l’infinito. Marca il bianco e l’anima che non può più prescindere da quei contorni che saranno pieni di colore e di buio. Una mano accompagna il segno, i contrasti dell’esistenza e il futuro di chi ha voglia di lasciarsi andare, di non essere chiunque. Cataste di cornici delimitano attimi di normalità nascosta fra silenzi di pietra o mille parole, che inseguono contemporaneamente l’assoluto del paesaggio e il quotidiano di un perché appena sussurrato. Una mano ti colpisce, testa di cazzo eppure il contrasto che ne esplode inevitabile sancisce l’esserci e l’appartenersi. Tempo e spazio si dilatano sulla tela da riempire di soli esplodenti di luce o di cardi appassiti, presupposti per andare, non macigni da scalzare, anche se la follia non è mai di un altro e basta. Ti entra dentro e vive con te il quotidiano di adolescente, o di donna innamorata, trasforma i sorrisi in attese, i contorni delle foto di fine estate del ’63 si sbiadiscono sempre di più mentre l’oggi aggredisce il domani, i tratti sulla tela esaltano l’assolutezza apparente dell’uno che invece si annienta e si rigenera nella speranza. Non c’è solitudine, o almeno così non dovrebbe essere. Non sono le dosi di Litio a scandire e sancire la sopravvivenza dalla Follia, piuttosto la condivisione di anni di niente o di troppo, da cui scaturiscono quelle magie di prospettiva portata all’estremo fra ruderi e agavi e vigne che non esistono più, sorrette da quel sorriso di fine estate del ’63, quando qualcuno decise di fidarsi, e dalla straordinaria forza di una apparente debolezza. Abbassò lo sguardo solo un attimo verso il basso poi, con la decisione di chi ama, abbracciò la follia del niente e del troppo, della normalità come costrizione, inevitabile perché la vita fosse tale di fronte alla tela bianca. E non è perdersi ma riconoscersi, in un tratto di ocra o di blu, l’essenza resta nello scambio che si sublima fra colori e sensazioni. Nessuno scompare, decide di essere invece altro, essere chi ci sarà fino in fondo e oltre. La fermezza della scelta traccia il solco dell’infinito, l’intreccio fra sorriso e pennello sulla tela, in cui l’ Io è esaltazione della follia condivisa. Il resto è contorno ed è facile perdersi. Perché è lì che alla fine eravamo, in un non-luogo apparentemente senza quotidiano ma solo partecipazione, appartenenza a qualcosa di più grande, un progetto di Follia in cui il rischio vero è la paura di scoprirsi insoddisfatte comparse. Ma senza mai smettere di esserci. E’ un abbandono assoluto che crea indissolubilità. «Aveva perso il controllo. Non si controlla un innamoramento, mi disse, non è possibile. E la divertiva che fosse potuto accadere in questo modo, con quest'uomo.» In "Follia", secondo l’autore, la passione e la pazzia sono strettamente connesse con l'arte, che, man mano che si sviluppa la vicenda, riveste un ruolo sempre più dominante, e accompagnano il lettore fra le pieghe più intime dei personaggi, creano immedesimazione prescindendo dal singolo stato mentale. Arte e follia vanno di pari passo e sono personificate nella figura dello scultore-paziente Edgar Stark, " Edgar dopo aver assassinato sua moglie, aveva fatto cose orrende con la sua testa"- racconta McGrath- "qui vedo una specie di simbiosi tra gli scultori e gli psichiatri, perché entrambi si occupano delle teste delle persone. L'arte la vedo molto vicina alla follia.” Simbiosi che diventa scambio di ruoli, di emozioni e di equilibri; le parole nascondono il limite, dissolvono i confini fra la regola e l’eccezione e fino all’ultima pagina, niente è inevitabilmente ciò che sembra. Siamo stati testimoni di un sogno o di una pazzia vera e propria, nessuna testa è caduta, ma non è stato facile amare quei monti viola che continuano a nascondere il prossimo crepuscolo e quel sorriso di fine estate del ’63. Mentre tutto si stempera nel ricordo. Quello che rimane è l’ansia incontenibile di scoprire cosa ci sia dietro quell’abbozzo a carboncino che rappresenterà sempre e comunque, la porta di casa. Patrick McGrath FOLLIA Adelphi € 16,50
libro follia