Egregio Direttore quando muore un uomo non si può essere felici, ma quando muore un dittatore il cuore del mondo batte un po’ meglio. Bene, è quello che ho pensato quando ho saputo della morte del fascista Pinochet. Bene per Victor Jara costretto a suonare nello stadio di Santiago trasformato in lager nazista la sua chitarra cilena con i moncherini delle dita tagliate. Bene per Violeta Parra che cantava grazie alla vita e l’ha abbandonata suicida per non vedere più il suo paese calpestato da un traditore. Bene per Salvador Allende, primo presidente socialista del Sudamerica democraticamente eletto e vigliaccamente bombardato da aerei che si levarono in volo in un lontano 11 settembre della mia giovinezza, spinti in aria dal carburante del complotto di Kissinger e del democratico governo degli stati uniti che allevava nel cortile di casa un branco di iene per consegnargli i popoli dell’America Latina e la loro libertà. Bene per l’innocenza e la speranza che mi hanno levato quei colpi di fucili traditori. Bene per le migliaia di ragazzi e ragazze, di uomini, donne e bimbi ammazzati, torturati, umiliati, esiliati sconfitti, spariti. Bene per le vittime di una storia crudele, indecente come i baffetti e la divisa insanguinata di Pinochet. Bene per Pablo Neruda e le sue dolci poesie di carne e politica, per le polene distrutte della sua casa di Isla Negra, per i morti senza lapide nei cimiteri del deserto di salnitro di Atacama, per i morti impossibili da onorare perché precipitati dagli elicotteri nel gelo del mare australe, ingoiati per sempre dagli squali e dagli scuri pesci abissali dello Stretto di Magellano. Bene per i cileni che brindano alla fine del fantasma opprimente del fascismo, ad un novantenne incattivito che finalmente li aveva lasciati liberi dalla sua bava di ricordi, sangue e pensieri cattivi, dalla sua catena di morti e di insulti, da un passato nero come le divise dei carabineros che prendevano gli studenti a scuola per trasformarli in desaparecidos senza ritorno. Bene per i figli degli oppressi e dei torturati, per i nipoti degli operai resistenti nella loro sconfitta che oggi nelle strade di Santiago chiedono che la giustizia non venga seppellita insieme al dittatore famelico di sangue fraterno che li aveva venduti all’esperimento del turbocapitalismo mondiale dei Chicago Boys. Bene anche per i tanti fascisti che piangono il loro eroe e che vedono terrorizzati la fine del loro decrepito diavolo protettore. Bene, che provino un po’ di paura anche loro, che sentano finalmente la terra mancargli sotto i piedi, che abbiano spavento della democrazia, dei ragazzi che si baciano ubriachi di libertà, delle bandiere rosse di nuovo cittadine del Cile della nuova presidente socialista. Li ho guardati in televisione quei giovani di destra che giustificano la strage dei loro connazionali con la scusa della lotta al comunismo, li ho guardati e ho sentito urlare dalle loro bocche fuori sincrono dalla storia gli stessi insulti e le stesse paure che sono echeggiate da quel gruppo di fascistelli decerebrati che ieri si sono organizzati al Motorshoow per contestare il comunista (sic) Prodi, ho guardato anche loro e ho pensato se fossero cileni oggi questi sarebbero a piangere Pinochet, non certo a festeggiare la morte del fantasma della dittatura. L’ho pensato e non mi sbaglio, io gli adoratori degli uomini della provvidenza li conosco, li sento all’odore… e anche loro e i loro amici sanno che è vero. TIRO FISSO 2 Caro Tiro Fisso Visto che all'epoca non ci conoscevamo voglio raccontarle il mio 11 settembre 1973 e i giorni successivi, il 12 ad esempio, che mi trovai a vivere da segretario-ragazzino di una sezione del PCI che contava 740 iscritti, la cui sala quella sera si riempì come mai era successo di gente di ogni tipo che, così come Kennedy qualche hanno prima aveva detto in Germania "Ich bin Berliner", diceva con gli occhi "yo soy chileno", una sala di fronte alla quale mi toccò parlare raccontando quello che si era saputo, la risposta del Presidente Allende dal palazzo della Moneda bombardato, all'ultimatum del traditore che stava per ucciderlo: "No se rinde un gallo rojo si no cuando esta ja muerto" Un gallo rosso si arrende solo da morto. Ma non ero convinto di essere all'altezza di poter parlare di un evento così grande, e mi rimase dopo quella riunione la sensazione di non aver detto quello che volevo. Pochi giorni dopo però, mentre ancora si consumava quella tragedia lessi gli ultimi versi di Pablo Neruda, che moriva di cancro, così come la democrazia cilena moriva per il cancro fascista, sacrificata agli interessi delle multinazionali dei "gringos" amerikani (l'uso del "k" in questo caso è pertinente), presi allora la sola decisione di cui mi sento pienamente orgoglioso del mio primo breve mandato di segretario. Decisi di farla stampare su manifesti 70x100 quella poesia, e farla affiggere in 50 copie sui muri di Portoferraio. Un partito che come manifesto politico affigeva una poesia e null'altro non si era mai visto, forse anche per questo in tanti la lessero, in tanti per la prima volta in vita loro lessero una poesia di Padlo Neruda. recitava: «Nixon, Frei e Pinochet fino ad oggi, a questo amaro mese di settembre dell’anno 1973 con Bordaberry, Garrastazu e Banzer jene voraci della nostra storia, roditori delle bandiere conquistate con tanto sangue e tanto fuoco sazi nelle loro haciendas predatori infernali satrapi mille volte venduti e traditori, aizzati dai lupi di New York, macchine affamate di sofferenze lordate nel sacrificio dei loro popoli martiri, mercanti prostituiti del pane e dell’aria americani, ciarlatani, carnefici, stuolo di cacicchi da lupanare, senz’altra legge che la tortura e la fame, sferza del popolo. (da un posto in Cile 15 Settembre 1973) Pablo Neruda E a ripensarci facendo ruzzolare gli anni vado a quella sera quando sul Palco sul piazzale della Linguella gli Inti-Illimani suonavano le loro canzoni e dietro la torre del martello si vedeva il guizzare di saette di un temporale che avrebbe poi battuto la piazza, ma solo dopo l'ultima canzone. Mi ricordo che uno di loro dal palco, dopo aver preso per il culo i signori che si godevano lo spettacolo dalla poppa dei loro yacht "Hanno pagato il biglietto? No? Eh sono abituati a non pagare.." interruppe un coro che veniva dalla platea "Cile Rosso, Cile Rosso" "No - disse - Cile Libero, se sarà rosso lo vedremo quando sarà Cile Libero" Caro Tiro Fisso una delle canzoni di Victor Jara, una delle sue canzoni diceva: "Gracias a la vida que me a dado tanto" l'ho sempre considerata una delle canzoni in cui più mi ritrovo. Ringrazio la vita di avermi dato tanto, tra le moltissime cose l'aver visto tornare il Cile libero, e anche di aver visto morire l'assassino di Salvador Allende, Victor Jara, Alberto Bachelet (padre di Michelle attuale presidente di quella nazione) e migliaia di altri innocenti. Il popolo cileno ha sanato la ferita, ha cancellato la feroce dittatura, il demonio si è portato via il suo vivente spettro. Si può essere anche politicamente scorretti e dire che questo non è poi proprio un cattivo giorno e che è vero, anche il nostro cuore, con quello del mondo, batte meno oppresso e più leggero.
Augusto pinochet cile
Salvador allende cile
Palacio de la Moneda golpe cile
victor jara cile
Inti Illimani cile
Michelle bachelet cile
pablo neruda corta cile