“Scusate posso fumare?”. I carabinieri hanno preso la palla al balzo e gli hanno concesso di accendere alcune sigarette. J. M. non sapeva di stare fornendo agli inquirenti la prova principale che lo avrebbe incastrato come l’autore dell’incendio al camion di proprietà della famiglia Volpi. Tre o quattro mozziconi lasciati nel posacenere dei carabinieri, e il confronto tra il Dna ritrovato nelle tracce di saliva e quello ricavato da gocce di sangue lasciate su una delle auto danneggiate che si trovavano accanto al camion bruciato ha dato un volto all’autore del misterioso incendio avvenuto a San Giovanni alle 4,30 del 27 novembre 2004. J. M., 27 anni residente a Portoferraio, si era affacciato sulla scena del reato una seconda volta, così come vuole la migliore tradizione giallista. Poco dopo l’incendio, verso le 5 di mattina di due anni fa, aveva fermato l’auto e aveva chiesto ad un carabiniere che cosa fosse successo. “Una cosa che accade spesso – spiega il tenente dei carabinieri Papasodaro – comunque avevamo preso nome e cognome.” Poi le indagini, e la scoperta che nelle due auto danneggiate, oltre al camion bruciato, c’erano delle schegge di vetro con tracce ematiche, lo sfondamento dei vetri era stato effettuato probabilmente con i pugni. I rilievi, spediti al Ris di Roma, avevano confermato che si trattava di sangue umano appartenente a un individuo di sesso maschile. Era stata tracciata una mappa del Dna, che sarebbe potuta servire da confronto in caso di fermo di un sospettato. E così è stato, ma i carabinieri hanno dovuto usare l’astuzia, perché all’epoca dei fatti non era consentito prelevare un campione di Dna senza il consenso dell’interessato. Il vizio del fumo però ha facilitato le indagini. J.M, che riportava anche delle strane ferite alle mani, di cui aveva fornito una versione poco credibile (“me le ha procurate il mio cane”), è accusato di danneggiamento seguito da incendio e danneggiamento aggravato. Il Pm Giaconi, della procura di Livorno, vista la fondatezza delle prove ha addirittura consigliato all’imputato il patteggiamento. Dietro l’incendio, confermano il carabinieri, non ci sono ipotesi estortive né substrati mafiosi, solo un movente che riguarderebbe delicati motivi personali, sui cui però vigila la privacy. “Un caso non collegato con gli altri incendi - precisano i carabinieri – sui quali stiamo ancora indagando. Stanno comunque emergendo cause indipendenti le une dalle altre”.
caserma carabinieri piccola