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Roberto Peria: Un'isola a rischio mafia e non da ora

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 14 novembre 2006

In questi giorni molti cittadini mi hanno chiesto: ma siamo veramente un’isola a rischio criminalità organizzata? A chi me lo ha chiesto ho risposto di sì e che probabilmente lo siamo da tempo. I segnali d’altronde sono chiari: lo testimoniano la gravità dei fenomeni emersi dalle indagini della Magistratura, la consistenza quantitativa delle dinamiche, la loro violenza; la nascita nel corso degli ultimi anni di un tessuto imprenditoriale non sempre di chiara provenienza; il frequente ripetersi di eventi finora sconosciuti a questo territorio, quali gli incendi dolosi di beni od automezzi; la presenza di “contropoteri” che tendono a rapportarsi al mondo delle imprese, fin quasi a diventare interlocutori attendibili (chi è che non ha ancora nelle orecchie quella terribile frase dell’imprenditore campese che davanti a cento persone asserisce candidamente che poiché il sistema bancario ufficiale non funziona l’usuraio conviene?). Si badi bene: questi sono i segnali di un potenziale rischio, non deve derivare da questo alcuna drammatizzazione; bisogna semplicemente prenderne atto e reagire. Ma quali possono essere le cause strutturali, profonde del rischio? In questi giorni un documento bipartisan firmato da dodici intellettuali ha agitato molto le acque, soprattutto per il duro richiamo etico in esso presente. Secondo il documento dei dodici la causa principale del declino del nostro territorio è la frammentazione istituzionale; altri, limitando il ragionamento al tema criminalità (si veda ad es. una recente intervista al collega Papi) hanno sollevato la questione della presenza del carcere a Porto Azzurro. Personalmente condivido la necessità di arrivare in tempi rapidi ad un nuovo e più efficiente assetto istituzionale, sono un convinto sostenitore della necessità di coordinare i servizi e la pianificazione territoriale, credo fermamente nel Comune Unico come scenario del futuro (spero prossimo); ritengo altresì che il carcere qualche problema possa sicuramente generarlo, ma non me la sento di dire che siano queste le uniche radici dei nostri problemi. Alla fine il carcere c’è sempre stato, ma in passato certi fenomeni sono sempre stati estranei al territorio elbano; la presenza di troppi comuni può generare sprechi, inefficienze ed una pubblica amministrazione non sempre all’altezza, ma, paradossalmente, nel caso specifico può rappresentare addirittura un elemento di “presidio” del territorio. E allora proverei ad avanzare un’analisi che guarda anche ad altri aspetti. Il fatto è che in questi ultimi decenni la criminalità organizzata si è, per così dire, “globalizzata”; ha avuto cioè la tendenza ad abbandonare le sfere d’influenza tradizionali (generalmente nel sud dello Stivale) per estendersi in aree vergini, purchè queste ultime fossero ricche, caratterizzate da importanti flussi di denaro e di persone, garantissero affari e potenzialità espansive. E’ di questi giorni la notizia che l’andrangheta sta progettando cospicui traffici illegali nientemeno che in Germania. E poi, come ci hanno spiegato Don Ciotti ed il procuratore Grasso la mafia è ormai potente anche al Centro ed al Nord e tende ad assumere abiti insospettabili, si veste da imprenditore, magari da professionista o da operatore sociale, cerca alleanze e legami con i poteri forti ed i poteri occulti, tende a “normalizzarsi”, si mette la giacca e la cravatta e non uccide le persone (a meno che non sia ancora forza primordiale e brutale come a Napoli), quanto piuttosto le imprese sane, anzi le divora dall’interno, le svuota, le sostituisce; talvolta intimidisce e rovina le famiglie, corrompe il tessuto sociale. Avete presente quelle colture transgeniche sperimentate dalle multinazionali in Argentina, che in pochi anni hanno invaso le aree delle colture tradizionali devastando interi territori, rovinando migliaia di agricoltori? O certe strane alghe che proliferano anche nei nostri mari, togliendo ossigeno ai pesci? Ecco, quello che può succedere sulla nostra bella isola, che in parte è già successo e forse sta continuando a succedere è proprio qualcosa del genere. In attesa magari di ulteriori sviluppi, con accento russo o con gli occhi a mandorla. Il problema è che quando un fenomeno è fortemente espansivo, se trova scarse barriere sociali od istituzionali, diviene inevitabilmente pericoloso; ma può diventare addirittura devastante se incontra un sistema locale che può fungere da brodo di coltura: quando cioè si incontra con il denaro, tanto, relativamente facile, concentrato in pochi mesi; o con il proliferare del cemento “speculativo” e della rendita, che ha favorito per anni ed anni la nascita di centinaia di seconde, terze e quarte case prevalentemente destinate al mercato del sommerso (lasciando peraltro paradossalmente chi ha veramente bisogno di una casa senza risposte); quando si trova davanti la debolezza dell’impresa locale, spesso non strutturata e di piccolissime dimensioni, o un sistema bancario orientato alla “cattura” e quindi alla gestione dei grandi flussi finanziari del mercato turistico estivo, piuttosto che alla costruzione di percorsi di collaborazione e sostegno della piccola imprenditoria. Noi oggi non abbiamo una mappa precisa dei fenomeni criminali sul territorio, non sappiamo se le recenti iniziative della Magistratura avranno o meno ulteriori sviluppi; ma una cosa la sappiamo, l’abbiamo capita facilmente dai resoconti giornalistici: le persone vittime dei fenomeni recenti sono molte, quelle che, senza essere vittime, si sono trovate in qualche modo ad avere rapporti, beninteso senza responsabilità giudiziarie di alcun tipo, sono addirittura moltissime. Per capire fino in fondo quello che è accaduto ci vorrà del tempo. Per il momento, bisogna che ognuno faccia il suo: che i giornalisti scrivano, che la magistratura vigili ed indaghi, che le istituzioni locali garantiscano un quadro di legalità, di sviluppo pulito. Può essere questa la direttrice su cui costruire un vero ed importante terreno di contrasto? Un’economia rinnovata, un quadro istituzionale più efficiente, una maggiore giustizia sociale, un nuovo modello di sviluppo per il territorio? Probabilmente sì, probabilmente è veramente questo il modo di creare gli anticorpi di sistema. Senza giustizia sociale è difficile che ci sia legalità. A Napoli ci sono 50.000 “collaterali” della camorra a testimoniarlo. Eppure più ragiono sui fenomeni e più mi convinco che questo ancora non basta, che la partita fondamentale si gioca soprattutto sul terreno più difficile, più lungo e più complesso: quello etico e del sistema di valori. Perché finchè avremo qualcuno pronto a vendere, affittare, fare affari senza guardare in faccia l’interlocutore, purchè riempia il proprio portafoglio addormentando la propria coscienza (“pecunia non olet”), finchè ci sarà qualcuno che si gira dall’altra parte per non vedere, o che diventa improvvisamente muto ed incapace di parlare, finchè ci sarà qualcuno abbacinato dal mito del denaro facile, potremo cercare di rendere migliori le istituzioni, potremo raddoppiare i controlli, potremo rinnovare le imprese e persino la classe dirigente, potremo avere sempre più carabinieri e poliziotti, ma la partita sarà persa. Le consuetudini di un popolo schiavo sono una parte della sua servitù; quelle di un popolo libero sono una parte della sua libertà. Non l’ho scritto io. L’ha scritto molti anni fa un signore che si chiamava Montesquieu.


peria sindaco

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