Caro direttore, vorrei intervenire sul dibattito introdotto da Leonardo Preziosi sul film di Virzì. Io ho visto il film dopo una giornata carica di tensioni legate alla vicenda Marata. Come lei ben sa, qualcuno non ha gradito finire sul giornale ed ha scaricato su una nota giornalista una furia priva di argomentazioni e molto esagerata rispetto alla minima quantità di inchiostro a lui dedicata. Vabbè, lei dice, ma questo che c’entra? C’entra, non solo perché il film mi ha raddrizzato la serata ma anche perché mi ha dato spunti di riflessione e una marcia in più rispetto al lavoro di cronisti che stiamo (umilmente) compiendo. Avevo temuto che Virzì si fosse montato la testa e che volesse sfidare la stagione dei grandi colossal. Invece ha fatto secondo me un’operazione importante. Così come Asterix è la versione dissacrante e fantasiosa del De bello Gallico di Cesare, “N” è il fumetto spassoso che si contrappone alla storiografia, sia quella più rigorosa che quella più “zelante”. Insomma una specie di “Veni, vidi, Virzì”. A differenza di Preziosi ho trovato i tre giovani attori bravissimi, dinamici, spontanei ed a proprio agio nell’uso del toscano. Che poi sia portoferraiese o livornese che differenza fa? Preziosi lo sa come si parlava a Portoferraio all’inizio dell’800? Se Virzì avesse voluto fare una ricostruzione filologica avrebbe dovuto far parlare i suoi personaggi in una lingua arcaica, un meticciato toscano e latino assai cacofonico per una pellicola. Invece ha dipinto di amaranto contemporaneo le corde vocali dei protagonisti e delle comparse, un piccolo peccato di orgoglio per uno che proviene dalla città del “Vernacoliere”, che ha ormai fatto del livornese una lingua letteraria, assai più del bagnaiese. Il regista ha contaminato la figura del “sacro” imperatore con le stoltaggini da osteria di uno stralunato e comicissimo Massimo Ceccherini, si è inventato la battuta al cinghiale in una improbabile Pianosa rovesciando il finale: i cinghiali che banchettano con lo stoccafisso della brigata, e il reale palato costretto a combattere i succhi gastrici della fame e della rabbia. Credo che anche la ricostruzione scenografica di Pianosa montuosa possa leggersi in quest’ottica del rovesciamento, come dicono i letterati, “carnascialesco”. L’ambientazione piombinese poi mi è sembrata un piccolo miracolo, tranne un palo di un lampione appena intravisto, il porticciolo era perfetto. Il produttore della Cattleya in un colloquio telefonico mi spiegò che le riprese a Portoferraio sarebbero state assai problematiche, si sarebbe dovuta bloccare per alcuni mesi una zona del porto, e si sarebbero dovute togliere tutte le numerose tracce del ventunesimo secolo sulle facciate dei palazzi. Il porticciolo di Piombino in effetti è conservato meglio. Napoleone, visto dalla dimensione domestica del giovane anarchico ossessionato dalla voglia di ucciderlo, diviene misero e patetico. E’ chiaro che l’attore non susciti emozioni, è Virzì stesso che vuole ghiacciare con l’ironia ed il cinismo tutti i vapori imperiali, senza neppure far scaturire un po’ di compassione per il grande corso con la barba lunga e le ciabatte. Su una cosa concordo con Preziosi, la prova grigia della Bellucci, bella ma intirizzita, che pare legga il gobbo anche quando sta zitta. Penso che “N” sia una commedia spassosa, che rende leggeri, anche in “certi giorni”. Cioè quando dobbiamo scrivere nero su bianco nomi e cognomi sul giornale, che da intoccabili stanno diventando, come dice lei, mezze-tacche.
napoleone