Uno studente di archeologia dell’anno 3003 dopo aver portato a compimento due interessanti studi sull’Elba all’inizio del 3° millennio, ed aver riscosso il plauso dei suoi docenti, per la sagacia con la quale si era misurato coi costumi sessuali e con l’organizzazione del governo delle tribù elbane dell’epoca, propose egli stesso un ulteriore lavoro dedicato ad un particolare aspetto della vita sociale dei primitivi elbani. Eccone il testo. Le sette degli Adoratori dei Cinghiali nell’Elba del XXI° Secolo Dopo aver trattato delle tribù elbane territoriali guidate da capi-villaggio detti "Sindaci", dedichiamo la nostra attenzione ad un altro consorzio tribale del tempo, un consesso rigidamente maschile quello che ci siamo permesso di definire degli “Adoratori del Cinghiale”. Abbiamo desunto che gli appartenenti alla piccola congrega dovevano essere comunque persone di inusitata potenza politica, poiché la massiccia presenza di esemplari del suino selvatico oggetto della loro religione, veniva tollerata anche se xxxxxxx xxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxx (sotto le x si legge “rompeva tremendamente i coglioni” n.d.r.) provocava non pochi fastidi alla stragrande maggioranza degli altri selvaggi, che si vedevano devastate le colture, distrutti gli argini ed invase financo le aree dei villaggi dai voraci maiali selvatici. Con un comportamento rituale difficile da comprendere con i canoni della razionalità, gli Adoratori dei Cinghiali fornivano essi stessi assistenza e granaglie alle bestie in libertà, salvo poi sacrificarne una parte in riti detti “Battute” e “Calendario Venatorio”. Essi, per quanto i patti legali in vigore all’epoca determinassero che la proprietà delle bestie in questione doveva considerarsi “demaniale” (o pubblica), consideravano una loro prerogativa il decidere del proliferare, della vita o della morte dei villosi porci. Agli altri selvaggi era consentito solo mangiare (dietro la corresponsione di moneta dell’epoca) presso le numerose osterie elbane che ne erano fornite, i corpi delle vittime sacrificali che, per incantamento o altro sortilegio si materializzavano dopo il loro decesso in quelle cucine. Gli Adoratori dei Cinghiali indossavano austeri costumi, tra di loro molto simili di color grigio verde, ed ostentavano fieramente le loro armi da scoppio, i più pii e devoti tra di loro, subivano in talune occasioni delle vere e proprie trasfigurazioni, giungendo a somigliare nell’aspetto e nei vocalizzi al caro oggetto d’adorazione. Detto processo era definito “incinghialimento”. Ma esisteva anche una sub-setta segreta che organizzava altri riti sacrificali, in genere notturni, che prevedeva la cattura mediante l’uso di una vasta gamma di armi: dal primitivo laccio d’acciaio fino ai, per l’epoca modernissimi, visori notturni e puntatori laser. Le sette cinghialatorie giunsero però a completa estinzione, entro il primo decennio del secolo, a determinarne la sparizione non fu una lotta tribale, ma un terribile morbo definito tra la S.A.C.C.(sindrome acuta cacatoria cinghialina) che non solo sterminò tutti i suini selvatici, ma anche coloro, tra gli umani, che avevano con essi più frequenti rapporti.