Cosa sta succedendo in Val di Cornia? C’è veramente il rischio che la Parchi Val di Cornia Spa, la società creata dai Comuni per gestire le aree protette, sia arrivata al capolinea? O forse basterebbe un colpo di reni per rilanciare una delle esperienze di gestione territoriale più interessanti del nostro Paese? Vale la pena discuterne e ci piace parlarne adesso, quando le luci della stagione balneare si vanno affievolendo, proprio per dare un contributo franco e costruttivo a un dibattito che, nelle nostre intenzioni, possa servire a tramutare la crisi in opportunità e rafforzare le scelte di tutela e valorizzazione di quest’area. Siamo seriamente preoccupati per i toni accesi del dibattito e le polemiche avviate da alcuni sindaci (quello di Piombino e di Campiglia in testa) su una serie di questioni (i parcheggi alla Sterpaia e le cave di Campiglia in primis) per le quali le esigenze di tutela del territorio vanno a collidere con quelle di fruizione a fini turistici o produttivi. E’ una dialettica nota, il vecchio dibattito fra sviluppo e ambiente che poteva appassionare alla fine degli anni “80, ma che francamente pensavamo ormai superato. Soprattutto qui in Toscana, soprattutto qui in Val di Cornia dove i Comuni hanno fatto, caso unico in Italia, la scelta di consorziarsi per gestire le proprie aree di pregio ambientale. Legambiente ha sempre guardato con grande attenzione a quella che è stata giustamente considerata, da più parti, un’esperienza simbolo, un caso di scuola, un vero e proprio modello da imitare. Nata dalla felice esperienza che liberò negli anni “80 il bosco della Sterpaia da migliaia di abitazioni abusive, la società di gestione dei parchi comunali si è andata affermando come un soggetto particolare e atipico nel panorama nazionale. Per la prima volta gli enti locali si facevano protagonisti di un’esperienza di tutela e gestione di aree protette in un periodo in cui i Comuni si trovavano più spesso costretti a subire perimetri e vincoli decisi altrove. Addirittura l’esperienza della Val di Cornia anticipò quella che sarebbe stata una tendenza nella gestione delle aree protette recepita dalla legislazione nazionale, basti pensare alla recente normativa sulle riserve marine che ne affida la gestione proprio agli enti locali. Ma la Parchi Val di Cornia Spa ha un’altra peculiarità che contribuisce a farne uno strumento di straordinario interesse per la gestione di un territorio. Si tratta cioè di una società voluta dai Comuni, finanziata dagli stessi, ma alla quale viene affidata la più ampia autonomia, necessaria perchè la scelta dei Comuni di tutelare le proprie aree di pregio sia credibile. Altrimenti la politica di tutela sarebbe inevitabilmente vittima di beghe politiche o elettorali e affidata alla maggiore o minore sensibilità di questo o quell’amministratore. Così ha operato finora la Parchi Val di Cornia Spa, facendo registrare indiscutibili successi gestionali, ottime modalità di composizione dei conflitti sul territorio, solidi rapporti di collaborazione con le principali università e poli di ricerca, straordinarie performance di bilancio con percentuali di autofinanziamento che fanno invidia ai più efficienti parchi regionali e nazionali. E’ per questo che le critiche sulla vicenda delle cave prima e su quella dei parcheggi alla Sterpaia più recentemente ci sono apparse sicuramente ingenerose e, forse, anche un po’ pretestuose. La scelta di campo ambientale compiuta al tempo dai Comuni con la costituzione della società è stata una scelta coraggiosa, ma che pretendeva atteggiamenti coerenti e consequenziali. I dati sull’afflusso antropico sulla spiaggia della Sterpaia stridono invece fortemente con la volontà di tutela di quella spiaggia. Non è un problema di buona organizzazione, caro Sindaco, è un problema di numeri. Presenze estive calcolate ben oltre le 500.000 unità con indici di affollamento doppi rispetto a quanto previsto dalla legge regionale addirittura per aree costiere non protette, sono inaccettabili per una zona che i Comuni hanno voluto definire “parco”. Ventimila persone al giorno e migliaia di automobili sono numeri da costiera adriatica sicuramente incompatibili con un Parco, sia anche il meglio organizzato. Delle due l’una insomma: o si persegue la scelta del turismo di qualità, della valorizzazione delle proprie risorse territoriali, dello sviluppo legato alla tutela delle aree di pregio, o si opta per i grandi numeri del turismo balneare, per sacrificare le dune a favore di qualche posto macchina (magari anche centinaia) o di qualche ombrellone (siano anche migliaia). Intendiamoci, si tratta di scelte entrambe legittime, noi preferiamo ovviamente la prima, ma non possono essere perseguite entrambe. Come non possono essere perseguiti contemporaneamente gli obiettivi dei proprietari di cave e le esigenze di tuela di quell’area, né possono coesistere le pretese speculative con il mantenimento di quell’unicum paesaggistico e ambientale rappresentato dal parco di Rimigliano, o ancora il costruendo porto di San Vincenzo, per il quale abbiamo assegnato una bandiera nera al sindaco Biagi, con un futuro di qualità per quella cittadina. I segnali, insomma, che qualcosa stia cambiando in questo territorio ci sono e lasciano intravedere un domani sempre più attirato, tanto per restare a una metafora utilizzabile anche geograficamente, dalle luci e dai colori della Versilia piuttosto che dai ritmi e dalle scelte della Maremma. Che le valutazioni di Asor Rosa sulla Valdorcia, vittima del cemento, valgano anche per la Val di Cornia? Sarebbe un peccato, sarebbe la fine di un’esperienza unica, sarebbe la perdita di una scommessa sulla quale abbiamo puntato in tanti, ben oltre i confini della Val di Cornia, ben oltre quelli della Toscana.
Roberto della seta