Ieri sera si è conclusa l’ottava edizione del De Andre Day organizzata ed ideata dai BWP di Alex Beneforti, con il patrocinio del comune di Campo nell’Elba e l’aiuto dell’associazione Martorella. La serata a scopo benefico era dedicata quest’anno ai bambini del Saharawi; i sedicenti musiciti e pseudo intelletuali, che gravitano intorno alla manifestazione, hanno messo a disposizione il ricavato di alcuni “prodotti”, quali cd e libri. Sergio, che è un amico e un giornalista radicalchic (oddio, molto più radical che chic), mi ha chiamato stasera per dirmi di buttare giù due righe sulla serata, “impressioni dal palco, mi interessa questo taglio… ahh, con calma, scrivi quanto vuoi… mi serve per stanotte, che domattina si pubblica”. Essendo io ed il predetto. come dicono giustamente i maestri del pensiero anonimo che scrivono sui muri dei pisciatoi e su blogs vari, appartenenti alla stessa lobbi, cricca, ghenga, combriccola, consorteria, loggia (quando ci si trova ci mettiamo il grembialino anche noi, rosso però) non mi potevo esimere. Vi assicuro che non è semplice, perché il De Andrè Day per chi lo vive è una cosa eccezionale, non è una delle tante manifestazioni musicali a cui capita di partecipare. E’ difficile da spiegare perché è un concentrato di emozioni dissolte in poche ore, o in alcuni minuti di una canzone per chi fa un solo pezzo, poi le sensazioni sono tante e credo personali per oguno che partecipa. Io ho la fortuna di essere il presentatore e sono sopra e dietro il palco, spesso mi caco sotto più dei musicisti, i co-protagonisti di questa festa, il protagonista resta Fabrizio con la sua musica, ma faccio il ganzo per dare anche un po’ di carica a chi deve suonare che trepida e palpita prima della propria esibizione. Sicuramente anche la formula dei tanti gruppi alimenta questa atmosfera, vedi i primi che non aspettano l’ora di finire il pezzo, poi quando sono su quel palco ci starebbero ore, con gli altri dietro che pensano “porca miseria tra poco sta a noi" e intanto ripetono gli accordi. Anche i navigati musicisti, come Sammy Marconcini, sono tesi e concentrati e penso di sapere il perché; sicuramente per il profondo rispetto che hanno nell’intrepretare la musica di De Andrè. Molte persone che si sono succedute nelle varie edizioni, spesso non erano dei musicisti di professione, altri come me, non avevano mai cantato in vita loro, eppure lassù dignitosamente, senza pretese di alcun genere, si riesce a farlo. Lo fai perché ami quelle canzoni e chi è sotto a guardarti è in comunione con il tuo stesso intento Appena sei là sopra ti trovi davanti ad un infinità di persone, come nei veri concerti, li guardi, piccolo stripizzone di pancia, poi parte la prima nota e tutto si scioglie, il pubblico capisce il senso e ti dona l’applauso. Il Cicino non si sa, è talmente preso tra tenere i rapporti con il service, fare le fotografie e suonare che sicuramente la botta gli arriva il giorno dopo, o forse no, lui è in grado di suonare di “imbracciatura” dovunque. Partiamo con la serata, il primo pensiero è stato il tempo, “pioverà” chiedeva il Cicino, “No” rispondevo io, toccandomi le palle, visto che nella scorsa edizione la pioggia aveva accompagnato l’esibizione di Mimmo Locasciulli. Quest’anno non c’è stato l’ospite "grosso" però neanche l’acqua, qualche goccia all’inizio ma era solo un effetto speciale preso a sconto per l’occasione. I primi a salire sul palco, come accade da qualche anno, sono stati i ragazzi del centro Bauhaus che hanno cantato in coro accompagnati da chitarra e percussioni “Il Pescatore” . I secondi sono stati i “Madama Dorè”, un quartetto nato dall’unione di due elbani e due Livornesi, tanto timidi nel Sound Ceck, quanto teatrali nell’esibizione, con la bella e brava Mavi, voce del gruppo, vestita da ehm! Diciamo sciantosa, con al basso il suo “cliente” e alle chitarre due “marinai”, che ci hanno fatto immergere nelle atmosfere di “ Via del Campo” e “La Citta Vecchia”. Subito dopo è toccato al gruppo campese delle Pistole Scariche, che seppur esordienti al De Andrè Day, hanno scelto un pezzo difficile e particolare come “Per i tuo occhi Larghi” mai eseguita nelle precedenti edizioni. Un prova di personalità per David, Lio, Fabrizio e Diego, tanto emozionati dietro alle quinte quanto sicuri una volta sul palco. A proposito di “imbracciatura” Alex Beneforti ha presentato un suo progetto “Le Nuovole”, organizzato in un solo giorno con l’aiuto di Giorgio Soria e Sammy Marconcini, facendo debuttare il giovane chitarrista Francesco Porro e la bellissima voce di Cecilia Pagani nell’esecuzuione di “Geordie”. Un piccolo appunto alla voce maschile avrei preferito la calda voce di un certo Regini. Bravo davvero il “Projet Trio”, un gruppo in cui la matematica è un “pignone”, infatti si sono presentati in sei e come miracolati di fatima hanno cantato prima “La Ballata dell’amore cieco” e di conseguenza “Ho veduto”. Ritmo serrato guidato da Alberto Camplani al basso, Stefano Battello alla batteria, Meola Michelangelo alla chitarra, Lorenzo Livraghi alle tastiere, con le due belle voci di Annita Corbetta e Franco Cavazza. Dalle sonorità elettriche a quelle afro caraibiche con la versione corale di “Dolcenera”, “Quello che non ho” e “Verdi Pascoli”, offerte dal gruppo “Canta che ti Passa”, ormai di navigata presenza alla manifestazione che hanno portato la più giovane cantante della serata, Alice, di soli nove anni. Complimenti quindi alle “due Francesche”, Arisha, Stefania, Angela e Marciss. Un breve intermezzo per delle comunicazioni di servizio, smarrito un telefonino… oddio più che altro era un mezzo portatile senza fili con funzioni di telefono, ancora oggi qualcuno si domanda com’è possibile perderlo visto che prendeva il posto di due persone; diamo la soluzione il proprietario era amico del Dotto. Un’esibizione attesa era quella dei Soria Group, ribattezzati the generation, composto dal nonno Giorgio Soria alle tastiere, il figlio Raul alle percussioni e il nipote Francesco Soria di solo dodici anni alla batteria, per nulla intimorito di fronte al pubblico, che ha dimostrato una forte personalità e sicurezza nel suonare con gli altri musicisti inseriti nel gruppo di famiglia, come Sammy Marconcini al basso, Stefano Giorgini alla chitarra . I Soria Gruop hanno eseguito “Volta la Carta” con alla voce il ritorno di una vecchia conoscenza, Tommaso Galli, emozionatissimo e bravissimo come sempre, uno dei migliori interpreti maschili dei pezzi del cantautore Genovese, Nella seconda canzone “il Testamento di Tito” hanno proposto, dopo la bella esibizione dello scorso anno, Giulio Scapigliati alla voce, impeccabile nella sua interpretazione e nel suo vestito bianco; premio “eleganza” della serata. Altre comunicazioni di servizio, il proprietario del telefonone non si presentava, sicuramente per vergogna. Alla fine è toccato al gruppo storico dei Bwp, Alex Benforti chitarra e voce, Marcello Soria batteria, Sammy Marconcini basso e voce e Styx Regini sax e voce, ideatori e curatori della manifestazione che hanno preaparatoo un set elettrico zeppo di ospiti. Quest’anno è mancato all’appuntamento Vittorrio De Scalzi, ma c’era la presenza il mitico Carlo Dotto con la sua personale esecuzione di “Un giudice”, accompagnato da Marco Bonini alla chitarra. Styx ha cantato “Una storia sbagliata” e con “La canzone dell’amore perduto” è tornato dopo qualche anno di assenza anchela bella voce di Jonny Caggiano, poi Sammy ed Alex hanno finito con “Il ritorno di Giuseppe” e “Maria nella bottega del falegname”, tra le coreografie danzanti d alcune ragazze delle prime file. Il set di chiusura è stato affidato ai Playboiler, l’altro gruppo dove suona Sammy, con Sergio Casella alla chitarra, Francesco Martorella alla batteria e per l’occasione Giorgio Soria alle tastiere. Il gruppo più tecnico che è riuscito a riportare fedelmente allo splendore gli arrangiamenti della Pfm, con la “Canzone di Marinella”, “Giugno 73”, mentre per “Se ti tagliassero a Pezzetti” è tornato sul palco Tommaso Galli ed infine si è chiuso con la partecipazione di Enrico Gori, dopo lo splendido debutto dello scorso anno, che con la sua chitarra e la sua voce ha eseguito “Andrea”. Sulle note “Del Pescatore” tutti i partecipanti sul palco a cantare, in coro con il pubblico che andava a tempo con le mani e con “laralalala-laralalala”, preso dalla situazione ho strappato il microfono di mano a Tommaso è ho cantato una strofa anche io. Un pubblico numeroso ed eccezionale quest’anno, che ha partecipato cantando e giocando con i musicisti e presentarore, con scambi di battute che rendono l’idea del clima che si respirasse. A mio avviso è stata una delle più belle edizioni del De Andrè Day, ritmo serrato, ottime interpretazioni, nessun problema tecnico e climatico con un pubblico caloroso. Solo all’ultimo il service si stava impacchettando Giorgio Soria e Sammy Marconcini perché pensavano facessero parte dell’attrezzatura. Scusatemi se mi sono dilungato, ma ho preferito elencare tutti quelli che hanno partecipato a questa manifestazione, spero di non essermi dimenticato nessuno, perche è giusto dare merito a chi si presta per queste manifestazioni che hanno come obbiettivi quelli di celebrare un grande musicista, fare musica, divertirsi, divertire e fare del bene; questo è il De Andre Day. Dispiace leggere, come mi è capitato oggi, che qualcuno non “veda” queste cose, ma riduca il tutto ad una misera polemica politica priva di fondamento, concludendo con un monito verso i più giovani, “ non mi sembra un gran che… inneggiare ad un musicista che si presentava ai concerti col bicchiere di Wiskhey e la sigaretta… ma fa tutto parte della loro cultura”, aprendosi poi ad un confronto democratico su questo pensiero. Basta vedere chi partecipa alla manifestazione sia come musicistia, che come spettatore, quest’anno sul palco si sono esibiti una bambina di nove anni e un ragazzo di dodici, e il pubblico è trasversale e di tuute le età, dalle signore distinte con marito, passando per i più giovani con le carrozzine accanto fino ai ragazzi. Sinceramente mi chiedo come possiamo dialogare con una persona, che per prima cosa non si firma, e poi riduce De Andre e la sua produzione, che è un patrimonio per la musica popolare italiana, mi spingo oltre, per la cultura italiana (in America studiano Bob Dylan), a quella frase; credo proprio che non ce ne siano i presupposti. Ultimamente molti valutano, sempre anonimamente, le cose con il proprio metro; ci dispiace non è il nostro.
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