Nei convegni delle varie tonalità di verde si aggira sempre uno strano signore, mutanghero e sfilante al muro come le bavose, s’infila tra i tendaggi secernendo occhiate traverse, la gente ormai lo guarda con pena sincera per questa sofferenza che si autompone nel frequentare gente che palesemente odia. E’ evidente che vorrebbe essere il De Sade fustigatore degli ambientalisti, ma a differenza del divin Marchese si vede che lui non gode, soffre e si macera nel tormento, è il caso più eclatante di autolesionismo masochistico della politica elbana. E’ un mangiatore compulsivo di wurstel ad una cena di vegetariani musulmani. Lo si capisce bene quando toglie il tappo alla stilografica ed intinge la penna nella la bile: non si è mai perdonato un’ infanzia tormentata da qualche ora di duro lavoro, poi ha trovato altro da fare, ma il trauma è rimasto. Allora spara favate ad alzo zero e, con l’ immancabile foulardino inalberato, concima ben bene le aiuole telematiche che gli danno spazio. Bisogna lasciarlo sfogare come si faceva coi matti del villaggio che erano strani ma innocui, ma follemente divertenti e mai tristanzuoli e ormai incarogniti come l’isolotto bimillennario. Il nostro sorboneggia fango e lo sparge, a volte come Sai Baba lo materializza dal nulla, in un replicare pappagallesco alla sue fissazioni, senza timore di contraddizione alcuna, è diventato un parassita delle altrui idee, una specie di vecchia zecca della rinsecchita politica elbana che sugge ma non provoca fastidio, ormai fa parte dell’ ecosistema, come le zanzare, che servono perché ci ricordano che il creatore ha dato a tutto un senso, anche se ci sfugge. Quando sente dire “eco” va in tilt, ronza, svolazza, punge, sbatte contro lampade e soli ridenti, ormai l’età avanzata gli fa confondere fiori veri per girasoli finti. Ma lo confessiamo: stavolta ci ha commossi, come quei vecchietti rancorosi che nei film western ti puntano la pistola perché ti hanno scambiato per un orso e non hanno più nemmeno la forza di alzarla: porgiamogli l’altra guancia ci siamo detti , diamogli una mano, facciamolo sentire qualcuno, per una volta prendiamolo in considerazione, rispondiamogli in qualche modo. Non nutriamo grandi speranze di risultati, ma siamo per la riduzione del danno, e questo è ormai un disperato caso di crepuscolo cerebrale. Abbiamo di fronte un mediocre alpinista di colline che partecipa, senza saper nuotare, ad un congresso di maestri di tuffi e vuole stupirli con un carpiato con triplo avvitamento dalla piattaforma di dieci metri. E si butta, anche… però quella roba blu li sotto erano solo le mattonelline della piscina, l’acqua la mettevano dopo. La gravità della situazione, si badi bene, non sta nella partecipazione, nel tuffo e nell’esibito spiaccicamento, il problema sta nel fatto che il nostro - anzi il loro - ha, come dire… una certa stima di sé, èconvinto di saper tutto sui tuffi anche se è un gatto di piombo, e quindi gli basta un’apparizione fantasmatica di 15 minuti in un convegno durato 15 ore per dire che, in sostanza, i tuffatori di Acapulco non sanno una sega nulla di come si scala Colle Reciso ma, sotto sotto, neanche di trampolini. Da bimbi ci buttavano in mare dove non si tocca, per impararci a nuotare, si potrebbe tentare anche con lui, il salvagente glielo attacchiamo al foulard, forse ci sta che impara…
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