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Il cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : giovedì, 01 giugno 2006

“Sono diventato la persona che sono all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accosciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.” Suona il telefono e i ricordi diventano oggi, un ponte su anni di vita sospesa fra soddisfazione e rimorso, lo squillo squarcia un velo troppo leggero per nascondere o per proteggere, ma da che cosa poi, se la consapevolezza di un infinito tormento non riesce a abbandonarti? La verità è che quella chiamata diventa una liberazione. Sono le parole di Rahim Khan a chiedere di tornare, ma non a scavare l’anima: “Improvvisamente sentii la voce di Hassan che mi sussurrava: Per te qualsiasi cosa. Hassan, il cacciatore di aquiloni.” La memoria dei colori nel cielo, del caldo soffocante d’estate e del freddo avvolgente in inverno, le rassicuranti incertezze dell’infanzia, il cavo taglia le mani fino a farle sanguinare mentre gli aquiloni si intrecciano, e Hassan corre più veloce di chiunque dietro quello azzurro, corre per Amir e la sua vittoria, ma la corsa si ferma inesorabile nel vicolo. Per te qualsiasi cosa. L’innocenza violata lacera l’amicizia e si confonde con l’abisso che si apre di fronte a un popolo, travolgendo sogni di adulti e di bambini. Alcuni restano, altri fuggono, ma mai del tutto, l’America è una destinazione, ma non un rifugio, soprattutto per la coscienza. I ricordi proteggono e feriscono, fino a che una telefonata diventa l’opportunità per rimettersi in cammino verso il passato e verso se stessi, per trovare il coraggio di chiudere il cerchio, di combattere un altro torneo di aquiloni, dai colori sbiaditi e senza alberi (tagliati per scaldarsi), come le strade di Kabul. Il ritorno è inevitabile. E come Hassan cacciava fra i vicoli quell’ ultimo aquilone azzurro sconfitto, così ora Amir rincorre fra le rovine di una città distrutta e muta, la speranza di un legame mai sciolto. Ma la realtà non è un notiziario della CNN, e l’odore delle vesti dei mendicanti, il colore indefinibile della terra dopo una lapidazione, gli occhi fissi fra fanatismo e oppio di una pattuglia di Talebani, potrebbero raschiare dal cuore qualsiasi certezza. Donne con il burqa e bambini sporchi: “mi resi conto che nessuno era in braccio a un uomo… le guerre avevano reso i padri un lusso in Afghanistan” , ma un albero è stato risparmiato, sul tronco una scritta: Amir e Hassan Sultani di Kabul. Le assenze tornano a dare vita alle macerie, e colori e profumi di mondi sconosciuti, di altre culture a mescolarsi con le immagini della cronaca; Peshawar, Mazar-i-Sharif , Jalalabad sono nomi ora noti, ma diversa è la prospettiva, quella del ritorno. Che non incanta ma può distruggere soprattutto chi insegue un aquilone dipinto di ricordi, la semplicità e il trasporto di un’amicizia nata a dispetto del ruolo originario di figlio del padrone e del servitore, anche se poi nella storia non è così netta l’identificazione di ciascuno dei personaggi, e i vuoti sono riempiti dalle emozioni senza una classificazione precisa e pre-determinata. Gli eventi sconvolgono nazioni, città, dinamiche personali, ma rimane immutata, se si sente veramente, la volontà di rincorrere quell’ultimo aquilone azzurro anche fra i vicoli del Bazar, senza preoccuparsi delle conseguenze da scontare, subito o fra ventisei anni; i tagli del filo fra le mani, dei ricordi e della colpa nell’anima, la condivisione del passato uniscono più della cronaca e della storia, senza spazio e senza tempo, basta la voglia di andare e di tornare, di non dimenticare. Michele Castelvecchi Khaled Hosseini Il cacciatore di aquiloni Piemme € 17,50


copertina libro aquiloni

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